ADISPRO. Goetz: serve una nuova politica

PROFESSIONISTI | 26/03/2016 | 08:05
Avvocato Goetz, è or­mai co­minciata la sta­gione 2016. Il ci­clismo italiano ha perso da tempo il ruolo di faro del movimento professionistico: è possibile secondo lei, dal suo punto di osservazione di presidente di ADISPRO, sperare in un’inversione di tendenza?
«Pensando in positivo, voglio evidenziare che - se è forse vero che l’Italia da alcuni anni non è più leader indiscussa del professionismo internazionale - rimane pur sempre una nazione che in questo sport è indiscutibilmente ai vertici assoluti. Sia per numero e qualità dei corridori, sia per i risultati che essi conseguono, sia per l’im­portanza del nostro calendario, Giro d’Italia in primis. Abbia­mo ancora mol­to da difendere. Certo, con uno sguardo più di­sincantato, è però evidente che la tendenza al de­clino appare drammatica, dopo un decennio in cui i nostri corridori e direttori sportivi sono di­minuiti del 52% e le nostre cor­se nazionali sono quasi sparite. E, pur con tutto l’ottimismo possibile, francamente, non è facile im­maginare a breve un cam­biamento di rotta, non in­travvedendone un solo presupposto. Il ciclismo non è un mon­do a parte e le sue sorti sono strettamente connesse a quelle del Paese, con tutte le sue enormi difficoltà».

Più in concreto, quali sono se­condo lei i riflessi della crisi generale sullo sport e quali sa­rebbero le iniziative più urgenti da intraprendere per affrontare i problemi?
«Nel nostro movimento si perdono i posti di lavoro come in qualsiasi altro settore economico e produttivo. Le aziende han­no meno budget per la co­municazione, la fiscalità è insopportabile. La nostra politica si è dimostrata incapace di arginare la delocalizzazione e ciò per il ciclismo significa fuga di affiliazioni delle società spor­tive, che spesso evitano accuratamente la sede in Italia perché qui gli one­ri sono troppo alti, assurdamente più alti. E come è possibile sperare che un giovane intraveda nuovamente in un team finalmente ancora italiano il proprio pun­to di riferimento, se non cambierà questo stato di cose? Quan­to agli organizzatori, se è pur vero che il ciclismo moderno richiederebbe loro uno sforzo di modernizzazione, è altresì vero che coloro che resistono lo fanno solo per un’enorme passione, con pochi soldi e senza più nessun sostegno da parte dei media. Corse World Tour a parte, quando siamo stati in RAI con la Lega per vedere cosa e come si potesse trasmettere nella stagione, si è avuta la sensazione di ricevere l’elemosina e tutto ciò è quasi umiliante, pensando a certe classiche e a chi le ha vinte facendo la storia del ciclismo».

Quindi esistono difficoltà di affermazione anche al nostro interno e non dovute solo alla situazione generale.
«Quando parlo di crisi della po­litica mi riferisco evidentemente anche alla politica sportiva e ai nostri dirigenti. La Fe­derazione, a mio parere, punta molto sull’attività di base e non agonistica, non credendo fino in fondo che il professionismo sia il pri­mo traino di immagine del ciclismo. Le funzioni delegate alla Lega sono essenzialmente formali e la sua attività non è sostenuta come dovrebbe. Io credo invece che il ciclismo agonistico e la sua massima espressione che è il professionismo vadano tutelati come priorità dalla Fe­de­razione, perché è chi investe la propria vita nello sport che ha più bisogno di istituzioni e di risorse. Se vo­glio fare una gran fondo, non ho bisogno di tessere particolari e invece Roma guarda lì, perché in questo mo­mento è li che c’è il business».

Questo è anno elettorale: cosa chiederebbe al nuovo presidente della Federazione?
«Innanzitutto, bisogna vedere se ci sarà un nuovo presidente federale, poiché, come è noto, il meccanismo elettorale è co­struito per mantenere lo stato di co­se, con un sistema fondato su base regionale che impedisce ad un soggetto laico, ad un personaggio nuovo che desideri candidarsi, di avere la minima speranza di successo, senza che chi ha già costruito il proprio radicamento politico territoriale dia la propria benedizione. Questo è molto scoraggiante per nomi nuovi che intendano provarci, perché l’impresa appare troppo ar­dua. In altre parole, molto probabilmente Di Rocco sarà de­cisivo nel definire chi sarà il prossimo presidente della Fe­de­razione e, da quanto intravedo, forse la cosa migliore alla fine sarebbe che continuasse a farlo lui, che almeno è un dirigente di livello. Ciò che gli chiederei, a quel punto, sarebbe di compiere un vero sforzo di generosità e di impegnarsi con ritrovata mo­tivazione per rimettere l’agonismo al centro dell’agenda. È triste constatarlo, ma uno sforzo di cambiamento oggi possiamo chiederlo solo a chi già sta go­vernando questo stato di cose. In più, ritengo auspicabile che il presidente Di Rocco si impegni per creare le condizioni per una modifica dello statuto che consenta un meccanismo elettivo che favorisca candidatura di personaggi nuovi e non di apparato.».

E la riforma internazionale?
«Riguardo a questo tema, posso solo stigmatizzare il caos assoluto del confronto nelle sedi dove devono essere assunte le decisioni, la mancata circolazione di informazioni attendibili, la continua smentita delle poche notizie che trapelano. Allo stato at­tuale osservo come la previsione di un obbligo di destinazione di risorse alla squadra Conti­nen­taIl presidente Di Rocco si impegni per creare le condizioni per una modifica dello statuto che consenta un meccanismo elettivo che favorisca candidatura di personaggi nuovi e non di apparato, possa rivelarsi controproducente e fonte di costi che ricadrebbero sulle professionalità della prima squadra. I di­lettanti han­no dignità propria e meritano sostegno da parte delle singole federazioni, in collegamento con il sistema scolastico».

Valerio Zeccato, da tuttoBICI di marzo
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