LIBRI | 12/03/2016 | 00:32 E’un libro che sa di strada e dunque di terra e asfalto, di aria e vento, di fumo e fritto. E’ un libro che sa di tempo e dunque di sole ma anche di neve, di primavera, di tutti i nostri mesi di maggio. E’ un libro che sa di popolo, il popolo dei corridori, dal primo in rosa all’ultimo in nero, e il popolo degli sportivi, degli appassionati, dei “suiveurs”, perché chiamarli tifosi confonderebbe le idee e restringerebbe il campo. E’ un libro che sa di festa, che sa di domenica anche se magari si tratta di un mercoledì di lavoro o di disoccupazione, che sa di Italia, ma quella vera, quella reale, quella nazionale, quella delle strade secondarie, dei palcoscenici improvvisati, delle piazze e dei mercati, anche dei velodromi orizzontali di cemento e dei velodromi verticali delle montagne.
“Il Giro in vetrina” (di Sergio Meda e Fabrizio Delmati, Rizzoli, 200 pagine, 29,90 euro) è un libro colorato anche quando è in bianco e nero, è un libro che profuma e puzza, è un libro che scorre e pedala 98 edizioni in 106 anni, una carrellata di fotografie e ritratti, una collezione di episodi e curiosità, una en-ciclo-pedia spettacolare e superficiale, una carovana stravagante che cavalca la storia d’Italia. E’ la Corsa Rosa (e il sottotitolo aggiunge “e i suoi compagni di viaggio”) vista attraverso tutto quello che le sta addosso, dalle maglie ai cappellini, dagli sponsor ai testimonial, dalla carovana al villaggio. C’è il papa (Woytjla) che saluta i corridori e c’è il Diavolo (Didi Senft, tedesco) che li aspetta con il forcone. C’è Fiorenzo Magni che per resistere al dolore di una clavicola fratturata morde una bindella (1956) e c’è Felice Gimondi che per resistere alla fatica (e forse anche a Eddy Merckx) stringe i denti e sputa l’anima. C’è Fabio Aru che inonda la folla con lo spumante e c’è Vincenzo Nibali che bacia il trofeo battezzato “senza fine”, simbolo del primato finale. C’è Charly Gaul sollevato e portato a forza di braccia alla fine della tappa del Bondone (1956) e lo Zoncolan abitato, fiorito, esploso di appassionati (la prima volta nel 2003, la più recente nel 2014). C’è Sergio Zavoli, giornalista e scrittore, in moto e c’è Paolo Bettini, campione del mondo, a terra. Ecco, cose così: un Giro di ruote e selle, un Giro di vite e tappe, un Giro di sorrisi e smorfie, un Giro d’Italia che sembra di esserci dentro e che sta quasi, sta ancora, sta sempre per ricominciare.
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