LE STORIE DEL FIGIO. Il sorriso di Fanticini

STORIA | 03/02/2016 | 07:52
Proponiamo il ricordo di un personaggio di grande valore, professionale e morale, che ha avuto un radicato, profondo e passionale rapporto con il ciclismo e con lo sport in generale. Parliamo di Guglielmo Fanticini di Reggio Emilia, scomparso a soli sessantadue anni, il 18 maggio 1982, al termine della tappa Roma-Caserta del Giro d’Italia, stroncato da un infarto, mentre si accingeva a raggiungere la sala stampa posta nella Reggia vanvitelliana della città campana.

Alcuni giovani amici che operano professionalmente in questo ciclismo moderno ci rimproverano, noi come altri, di guardare troppo indietro. Sarà pure così, così come siamo fermamente convinti che molte figure del passato, nel ciclismo come in altri settori, costituiscano valori fondamentali e di riferimento sia per il presente, sia anche per l’avvenire, costituendo un patrimonio di storia ed esperienze dove ricercare e attingere insegnamenti di qualità. Conoscere il passato serve, anzi è indispensabile, per comprendere il presente e, magari, essere in grado – o per lo meno cercare - di progettare e aiutare il futuro anche del nostro sport delle due ruote. Senza rinunciare alla sempre più ricercata “immagine” di marketing e simili, sempre più richiamata, inseguita oltremisura e individuata come quasi sola panacea alle notevoli difficoltà che tarpano, da qualche tempo, le ali e condizionano il volo, ora a singhiozzo (per non dire in picchiata), del movimento. E’ la realtà dei fatti di molti aspetti di criticità del professionismo, diciamo pure dell’agonismo, di casa nostra - comunque illustrato da eccellenze fra i protagonisti pedalanti - non sempre rilevati, raccolti e meditati, anzi respinti sviando su consunte e facili tirate retoriche, di circostanza, da parte di coloro che hanno veste e responsabilità in argomento.

Guglielmo Fanticini era soprattutto un grande innamorato dello sport, di tutto lo sport e una persona di squisito tratto e grande generosità. Si “dava” tutto e sempre, con entusiasmo, senza riserve mentali, senza calcoli personali, in ogni circostanza, sia dello sport, sia della vita. Il “dottore” (così lo chiamavano nella sua Reggio Emilia, e laureato era davvero, in legge) è stato una figura unica, autentica rappresentazione della bonomia emiliana. Carattere gioviale, aperto, di forte complessione fisica, era solito girare in bicicletta, quella nera, classica, da viaggio (non ha mai rinnovato, dopo la prima scadenza, la patente di guida conseguita) per la città del tricolore con la copia di giornata de La Gazzetta dello Sport che, invariabilmente, gli spuntava dalla tasca della giacca o del cappotto, a secondo della stagione. Tasche che ospitavano, con la rosea, un’autentica marea di fogli, fogliettini con una miriade d’appunti: recapiti telefonici, formazioni, memo e documenti del suo lavoro (operava in proprio nel settore del commercio del parmigiano-reggiano) anche se dedicava il maggior tempo della sua giornata al giornalismo coniugato allo sport. E’ stato il corrispondente della Gazzetta dello Sport dal dopoguerra fino alla scomparsa, ruolo ereditato poi dal figlio Ezio che, in proprio, è stato il responsabile delle pagine sportive di Reggio Emilia del Resto del Carlino fino alla recente pensione. Sarebbe stata un grande motivo d’orgoglio per papà Guglielmo la carriera di Ezio. Guglielmo, come dicevamo prima, si dava anima e corpo allo sport reggiano, seguendo con passione tutte le discipline, anche le meno conosciute, con un vero e proprio amore per il ciclismo esternato in occasione delle corse della rosea che l’hanno visto operare, in vari ruoli, per una trentina d’anni.



Inizia in sella a una motocicletta gestendo la lavagna indicatrice delle situazioni di corsa e svolgendo pure il ruolo di “trombettiere”, così in gergo era definito l’informatore che telefonava rapidamente e assiduamente alla redazione durante la corsa per sintetizzare la situazione agonistica e i fatti di maggior rilievo che erano poi rielaborati in redazione. Una caccia continua a un telefono, in costante affanno, in attesa che l’operatore alla centrale stabilisse la linea con la redazione. La teleselezione diretta e, men che meno, i telefoni cellulari erano ben di là da venire. Collabora pure con l’ufficio stampa e, poi, per spirito di servizio, accetta il ruolo di “tesoriere” del Giro e altri ruoli di fiducia che Vincenzo Torriani, con Giovanni Michelotti, gli richiedevano, lavorando in squadra con il giornalista mantovano Rino Bulbarelli, il padre del telecronista Auro. Quando lo svizzero Vico Rigassi, storico speaker di radio-corsa e voce poliglotta di molti eventi sportivi mondiali, lascia il microfono, Guglielmo Fanticini sale sul “tubo” (così era chiamata la vettura Rai che allora gestiva il servizio per l’appariscente antenna cilindrica, oltre mezzo metro di diametro per circa un metro d’altezza, che inalberava sul tettuccio). E, nello stesso tempo, era pure il capo ufficio stampa. Per guadagnare tempo scriveva, diciamo “in diretta”, con la portatile sulle ginocchia, in vettura, nonostante le curve, controcurve e discese a rotta di collo, direttamente sulla matrice di cera, la cronaca della corsa che, subito all’arrivo, era girata con il ciclostile per essere distribuita alla stampa e agli addetti ai lavori. Le due matrici che il buon Guglielmo solitamente affidava nelle mani di Cesare Sangalli, lo storico cartografo, polifunzionale, pure specialista del ciclostile, era una sorta di chiazza rossa per il larghissimo uso del liquido correttore. I vecchi “suiveur” ricordano la piena, pastosa, voce di Fanticini, attraverso radio-corsa, esibirsi dicendo “Adelante el coche de Kas” - espressione diventata “cult” nell’ambiente - quando chiamava all’assistenza l’ammiraglia della squadra spagnola, un’assidua del Giro. Era benvoluto e apprezzato da tutti, corridori, colleghi giornalisti e collaboratori - e come poteva non esserlo, conoscendolo - si può, anzi si deve, tranquillamente affermare senza sconfinare nell’agiografia. Il suo fisico imponente, il suo modo di vestire, sempre in giacca (con le tasche rigonfie di carte) e cravatta anche se il nodo andava dove voleva e le punte del colletto si sollevavano attorno al fazzoletto che annodava al collo nelle giornate più calde, gli conferivano un aspetto particolare, inconfondibile. Quello che lo distingueva era il costante, largo, sorriso e la disponibilità verso tutti, il ricercare quello che unisce e non quello che divide.

E lo sapevano bene anche i suoi concittadini, sportivi praticanti, appassionati, dirigenti per i quali fu sempre il riferimento di valore, il buon consigliere. A lui è dedicato il complesso sportivo del Palaockey di Reggio nell’Emilia, per tutti il PalaFanticini.
Era molto legato ad altri reggiani come Armando Cougnet, il “papà” del Giro d’Italia, al dottor Giuseppe “Pepp” Frattini, per tantissimi anni (ventitré per la precisione) responsabile del servizio medico alle corse rosa e pure in altri eventi sportivi, nonché del Milan calcio e del Simmenthal basket, e di Giannetto Cimurri, massaggiatore valente, persona di grande saggezza e capacità nell’équipe d’assistenza sanitaria alle corse, amico di una vita. Era sempre in costante contatto, da Reggio Emilia, sia con le organizzazioni, sia con la redazione della Gazzetta e ogni suo viaggio a Milano coincideva con una rimpatriata con colleghi, reggiani e non, che lavoravano alla rosea e cena - preferibilmente al ristorante Il Tirreno di Sauro Stefanini, nel piazzale della stazione Centrale - meta anche dei corridori che alloggiavano negli alberghi della zona e di molti appassionati.

Crediamo che la figura di Guglielmo Fanticini che, purtroppo, appartiene al passato, possa essere l’esemplificazione o il “testimonial”, come si dice ora, della premessa di queste note e valga la pena di essere ricordata dai “vecchi” e per essere conosciuta dai giovani. Lo merita.

Giuseppe Figini
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COMMENTI
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3 febbraio 2016 14:17 canepari
da riga 7 a 23 del pezzo di Figini. La tradizione e la storia servono al nostro ciclismo di oggi. Vedi motorini e altre nefandezze....

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