MARONESE. «L'obiettivo è crescere ancora»

DILETTANTI | 31/01/2016 | 07:41
Marco va veloce e la sua ma­­glia Zalf Euromobil Fior scorrazza ormai da settimane sulle strade venete. C’è da preparare una grande stagione, ci sono risultati da confermare, nuovi traguardi da raggiungere e, naturalmente, un sogno da realizzare.
Marco Maronese ha festeggiato il giorno di Natale il suo ventunesimo compleanno, naturalmente senza esagerare... Ad inizio dicembre, infatti, il velocista trevigiano della Zalf Euromobil Désirée Fior ha ripreso a lavorare in vista della prossima stagione: prima solo palestra, poi pian piano anche un po’ di bicicletta. Quindi il ritiro con i compagni di squadra a Riotorto e l'inizio di stagione ch esi avvicina velocemente.

Marco, facciamo un passo indietro: ti aspettavi di fare tanto bene nel 2015?
«Non ho problemi ad am­mettere che sono andato oltre le mie stesse aspettative. Sapevo di valere, ma otto vittorie sono tante (nell’ordine il Trofeo G. Visentini, la 71a Vicenza-Bionde, il Circuito del Termen, il Gp Sportivi San Vigilio, la Medaglia d’Oro Nino Ronco, il Gp Somma, il Gp Calvatone e la Vicenza-Bionde  Rie­di­zione Storica, ndr). Se poi aggiungiamo undici secondi posti, beh, meglio di così non poteva andare. Sono riuscito ad avere la giusta continuità, ho inanellato vittorie da aprile a ottobre, è stato bello anche se decisamente faticoso».

Ti sei concesso una vacanza a fine stagione?
«Sì, a Sharm el Sheik con cinque compagni di squadra: con me c’erano Tof­fali, Sartori, Borso, Gaggia e Rocchetti. Dico solo che ci siamo divertiti molto, ma è meglio non aggiungere altro...».

Rispettiamo la privacy e torniamo alla tua storia: quando hai iniziato a correre in bicicletta?
 «Avevo dieci anni, ho iniziato tra i G4. La prima corsa? La ricordo bene, alla partenza tremavo tutto. Eravamo a San Vito al Tagliamento, se ben ricordo, e arrivai secondo. Poi però sono arrivate le vittorie».

Come mai hai scelto il ciclismo?
«Malattia di famiglia... Nonno Otto­ri­no, che purtroppo non è più con noi, è stato direttore sportivo tra gli juniores,. mio papà Dino ha corso e quindi la bicicletta è sempre stata di famiglia. Anche mio fratello Luca, che compirà 15 anni tra pochi giorni, corre e va più forte di me. A coordinare tutta la famiglia che pedala, per fortuna c’è mamma Maura: viviamo a Lutrano di Fon­ta­nelle, in provincia di Treviso».

Ricordi la prima bicicletta?
«Era una Roma, rossa e blu: erano i co­lori del Pedale Opitergino, la prima squadra in cui ho corso».  

È stato amore a prima vista, tra te e il ciclismo, oppure sono state decisive le vittorie?
«Penso che avrei continuato a pedalare lo stesso, perché il ciclismo mi piace tanto, ma indubbiamente le vittorie ti spingono ad andare avanti. E io per fortuna sono riuscito a vincere in tutte le stagioni, tranne al primo anno da Un­der. Ma alla seconda stagione mi sono rifatto...».

Che corridore è Marco Maronese?
«Sono un velocista ma sto lavorando per migliorare in salita, per tenere sugli strapi, per essere più competitivo. Da due anni a questa parte ho iniziato a lavorare proprio per questo e credo che i risultati si siano visti già nel corso di questa stagione. Per essere un velocista moderno non basta solo essere forte in volata, bisogna metterci qualcosa in più, soprattutto quando si approda tra i professionisti».

A proposito di professionismo...
«È il sogno di tutta la mia carriera. Sa­rebbe bello poter passare tra qualche mese, al termine di una bella stagione. Confesso che qualche ontatto c’è stato, capirete che non posso parlarne, ma tutto dipende da me: se riuscirò a confermare quanto di buono ho fatto lo scorso anno, allora il sogno potrà diventare realtà».

Con chi ti alleni di solito?
«Con parecchi miei compagni di squadra, ma ho la fortuna di poter pedalare con un bel gruppo di professionisti, quando sono a casa: abito vicino a Co­ledan, Modolo, Dall’Antonia e Pel­li­zot­ti. Pedalando con loro, ho certamente tutto da imparare».

Hai un idolo?
«Bernard Hinault».

Scelta strana per una velocista.
«Lo so, ma Hinault è il corridore che ha vinto il mondiale più duro della storia, a Sallanches. Quell’imprersa mi ha sempre ispirato, chissà che un giorno non mi capiti la fortuna di conoscere il mio idolo».

Sei alla vigilia della terza stagione in maglia Zalf.
«E non avrebbe potuto succedermi niente di meglio. Qui tutti ci sentiamo coccolati, siamo seguiti in ogni pedalata, c’è la massima disponibilità da parte dei tecnici, dello staff, dei dirigenti, dei patron. Davvero, qui non ci manca niente e forse stiamo troppo bene».

In che senso?
«Nel senso che siamo seguiti talmente bene che qualcuno corre il rischio di incorrere in un brusco risveglio quando si passa dall’altra parte. Il fatto è che qui alla Zalf abbiamo davvero il massimo».

Quali sono gli obiettivi per questa nuova stagione?
«Continuare a far bene, vincere ancora e crescere ulteriormente per riuscire ad arrivare al professionismo».

Fai un pensiero anche al campionato del mondo?
«Visto il percorso, mi sembra inevitabile. Intendiamoci, non ne ho ancora parlato con il commissario tecnico Marino Amadori, non so quali siano le sue in­tenzioni, ma il discorso rimane sempre quello: dipende solo da me, da quello che saprò fare».

Se tu avessi la possibilità di scegliere una gara da vincere, cosa diresti?
«Ti risponderò citando la frase che ci ripete sempre Ciano (al secolo Luciano Rui, storico direttore sportivo della Zalf Euromobil Fior, ndr): “la vittoria più bella è quella che non abbiamo ancora ottenuto”. Qui alla Zalf, funziona così: affrontiamo ogni corsa per vincere, pronti di volta in volta a vestire i panni dei capitani o a lavorare per i nostri compagni».

Paolo Broggi, da tuttoBICI di gennaio
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