ROSA. «Con Aru faremo grandi cose»

PROFESSIONISTI | 29/01/2016 | 07:05
Dopo essere stato una delle rivelazioni del 2015, Diego Rosa ha voglia di continuare a sorprenderci. Il ventiseienne piemontese, dopo il biennio di apprendistato all’Androni, ha impiegato pochi mesi per affermarsi come pez­zo pregiato della corazzata celeste Asta­­na. Fedelissimo ultimo uomo di Aru in salita, artefice insieme agli altri compagni del secondo posto del sardo al Giro d’Italia e della vittoria alla Vuel­ta a España, fondamentale nella trionfale cavalcata di Vincenzo Nibali al Lom­bardia, nell’unica occasione in cui ha avuto la libertà di “fare la gara” ha la­sciato il segno conquistando la Mi­lano-Torino.

Il momento top e flop dell’anno che ci sia­mo da poco messi alle spalle?
«L’emozione più grande è stata senz’altro la vittoria in Spagna: conquistare la maglia rossa con Fabio ci ha regalato una grande soddisfazione perché ce la siamo davvero sudata. Tra la preparazione e le tre settimane di gara il no­stro gruppo ha vissuto due mesi insieme, sognando di arrivare in trionfo a Madrid. Non ci sono stati momenti terribili per fortuna, l’unica cosa che cambierei - se potessi - sarebbe la caduta all’Amstel Gold Race. Ho imparato molto grazie alla squadra, all’ambiente, alla sintonia che si è subito creata tra tutti noi fin dai primi ritiri. Ho trovato la mia dimensione. Correre per conto proprio per arrivare decimo serve a po­co. Io sono orgoglioso di lavorare per i miei capitani».

Sei riuscito anche ad alzare le braccia al cielo.
«Sì e ne sono felicissimo. Conquistare la 96esima edizione della classica italiana più antica, praticamente in casa, è stato spettacolare. Quel giorno sulla salita che porta a Superga avevo l’occasione di giocarmi le mie carte, non ho sbagliato e mi sono regalato il primo successo da professionista. Nel finale mi sono trovato in un’azione con Maj­ka, Vuil­ler­moz e Villella poi ho provato a fare la differenza a poco meno di tre chilometri dall’arrivo ma solo a 500 metri ho avuto la certezza di avercela fatta e me la sono potuta godere. È sta­ta la ciliegina sulla torta di una stagione che mi ha regalato belle soddisfazioni e grande visibilità. Sono felice di non aver disatteso le aspettative sul mio conto come aiutante del capitano di turno e di essere addirittura andato a segno in prima persona».

Come hai trascorso l’inverno?
«Bene. Sono stato due settimane a di­cembre a Calpe con tutta la squadra prima della toccata e fuga ad Asta­na per la presentazione del team. Sono stati tre giorni di fuoco tra viaggio e tanti impegni, nei quali non abbiamo neanche avuto il tempo di capire dove eravamo girati, tra fuso e tutto quello che c’era da fare. Come ormai ci ha abituato Vi­no­kourov, è stato un evento in grande stile che ha compreso tutti i team satellite al nostro, che fanno parte del progetto: quello Continental, quello femminile e quello specifico per i pistard. Per le feste sono stato a casa con i miei cari per poi tornare in Spagna per altre due settimane insieme ai compagni che non corrono né in Australia né in Argentina».

La ­prima cosa che fai al mattino?
«Guardo fuori dalla finestra per ca­pire com’è il tempo. Sono mol­to metereopatico».

L’ultima prima di andare a dormire?
«Dò un bacino ad Ale, la mia fidanzata».

Nel tempo libero?
«Sono appassionato di moto, anche se con la bici non si può utilizzarle, i direttori sono sempre con il mitra puntato perché (giustamente) temono che mi faccia male. In generale amo lo sport a 360°, fuori stagione mi diverto ad an­dare a camminare, a stare all’aria aperta o a farmi un giro sui cavalli di papà che però, come ha sempre preteso fin da quando ero bambino, devo pulire e accudire come si deve. Ora come ora per me è un impegno troppo grande, quindi ho optato per la moto alla quale basta metterci dentro la benzina e via».

Dove ti vedremo in corsa?
«Faccio parte del “gruppo di Aru” quindi sostanzialmente disputerò il calendario di Fabio. Debutteremo all’Algarve per poi di­sputare le corse che ci permetteranno di arrivare al Tour de France al massimo della condizione, forse saremo al via delle Classiche delle Ardenne, rifinendo poi il lavoro con il Giro del Del­fi­nato e un po’ di altura. Sono tanto cu­rioso di correre la Grande Boucle per la prima volta, perché tutti ne parlano. Ho voglia di provarla, ma non ho pau­ra perché gli avversari sono i soliti che abbiamo già affrontato: è vero che ci arriveranno tutti al top, ma anche noi lo saremo. Comunque, visto che non devo partire forte come un anno fa, sono infatti un po’ indietro rispetto all’anno scorso quando il primo obiettivo era il Giro. Dopo tanta base e lavori di fondo al medio, sto lavorando per farmi trovare più pronto in salita. Non voglio più inseguire ma essere reattivo, quindi mi sto concentrando sui cambi di ritmo».

Il Giro torna in Piemonte.
«Sì, quest’anno le tappe decisive sono proprio sulle mie strade. Anche se non mi piacciono le partenze dall’estero, mi sembra un bel Giro, esigente, con un tracciato che offre spazio a tutti. Come sempre, ci sono tappe davvero dure e altre in cui gli uo­mini di classifica po­tranno tirare un po’ di più il fiato.  Dopo due settimane di corsa, la tappa di Cor­vara con Pordoi, Sella, Gardena, Campolongo, Giau e Valparola delineerà la classifica, anche se poi ci sarà ancora spazio per ribaltarla proprio nelle frazioni di casa mia: la tappa di Pine­rolo è relativamente semplice, le due successive invece ve le raccomando... Il Colle dell’Agnello posto dopo 20 giorni di corsa, tra altitudine e freddo farà male a molti. Bonette e Lombarda, su cui pedalo quando vo­glio allenarmi su salite lunghe, possono far saltare il banco. Non vanno as­so­lutamente sottovalutate, ne uscirà bene chi sarà stato bravo a gestire le forze e a quel punto ne avrà ancora a disposizione.».

Per la corsa rosa il capitano dell’Astana sarà Nibali: che rapporto hai con lui e con Aru?
«Mi trovo bene con entrambi, in corsa il mio atteggiamento nei loro confronti non muta, anche se sono campioni con caratteristiche ed esigenze diverse cer­co sempre di farmi trovare pronto. Con Fabio sono le­gato da anni da un rapporto che va oltre il lavoro, abbiamo corso assieme da dilettanti (nel team bergamasco Pa­laz­za­go diretti da Oli­vano Loca­telli, ndr), vivevamo nello stesso ritiro, lo conosco meglio, ora vi­viamo insieme 11 mesi all’anno, siamo amici; mentre con Vincenzo ho un rapporto più professionale, l’ho conosciuto alle corse, c’è molta stima reciproca, ma non ci siamo mai visti al di fuori del lavoro».

Cosa hai imparato finora nella massima categoria?
«In Astana mi hanno insegnato tanto sia i tecnici che i compagni esperti come Tiralongo, che è la nostra chioccia e mi ripete sempre di non avere fretta. Quest’anno penso di essere cresciuto parecchio, si è visto. Non avevo mai corso un grande giro con un leader che puntava alla generale, in questo caso devi assumere un approccio diverso di corsa. Ho im­parato anche come devo allenarmi, quest’anno abbiamo dovuto preparare due grandi giri con Fabio e tutto il gruppo, quindi ci siamo concentrati con ancora più metodo sulla preparazione, sull’alimentazione e tutti gli altri aspetti che poi in corsa fanno la differenza. Abbia­mo la fortuna che in un team come quello in cui militiamo c’è tanto tempo per lavorare bene, per andare in altura... Tutta un’altra storia rispetto a quando si milita in una formazione più piccola e con meno mezzi».

Cosa ti aspetti dal 2016?
«Metterei la firma per ripetere un anno come il 2015. Due uomini sul podio al Gi­ro, la vittoria alla Vuelta, il Lombardia... Devo proprio chiedere qualcosa? Avendo un pochino più di spazio, sarebbe bello riuscire a ottenere di più a livello personale. Se ci riuscissi, farei un ulteriore salto di qualità, ma prima di tutto svolgerò i compiti che mi verranno affidati dalla squadra. Guardando più in là, non so come potrei diventare. In tanti mi dicono che un domani dovrei mettermi in proprio, ma io rispondo sempre che c’è una bella differenza tra fare il gregario di lusso, come sto facendo ora, e vestire i gradi del capitano e sopportare molte più pressioni. Lo vedo con Fabio e Vin­cenzo, non è facile gestire il peso delle aspettative, o ci sei portato o ti fai schiacciare. Vedremo nei prossimi anni cosa succederà e cosa potrò fare, intanto mi preoccupo di preparare al meglio questa stagione. Voglio fare un passo alla volta».

Immagina di dover spiegare a una persona che non sa nulla di ciclismo chi è un gregario.
«È il lavoratore, un bonaccione che è contento quando vincono gli altri».

E il capitano come lo definisci?
«Ha un altro carattere, è cocciuto e per­sino un po’ egocentrico».

E Diego Rosa cosa diventerà?
«Sinceramente, per carattere mi trovo da dio nel ruolo in cui mi trovo ora. So­no sereno e riesco a togliermi delle bel­le soddisfazioni. Ho una bella responsabilità, ma senza avere pressioni esagerate. Se un giorno non sto bene, invece di spostarmi ai -2 chilometri dall’arrivo mi sposto ai -10 e non è la fine del mondo. Allo stesso tempo è vero che non è semplice fare sacrifici per non portare a casa risultati personali: all’interno del team c’è molta riconoscenza per il lavoro che svolge ognuno di noi ma gli amici, guardando la corsa in tv, vedono che sei arrivato centesimo e non capiscono la tattica di squadra che c’è dietro».

A casa però la capiscono.
«Sì, ormai di ciclismo ne sanno un po’ tutti per forza di cose (sorride, ndr). Papà Arturo fa l’idraulico insieme a mio fratello Davide, mamma Enrica è maestra alla scuola elementare. Siamo 4 figli maschi, io sono il maggiore e do­po di me nell’ordine sono arrivati Da­vide, Massimo e Luca. Da due anni convivo con Alessandra, prima a un chilometro dal paese dei miei genitori e da pochissimo a Montecarlo. L’ho co­nosciuta alla festa del mio fans club or­ganizzata dopo il mio primo Giro. Ci è capitata per caso perché ha accompagnato dei miei amici, mi conosceva solo perché sono il “figlio della maestra” ma non era interessata allo sport: due giorni dopo siamo andati a cena assieme ed eccoci qui».

Fino a cinque anni fa ti dedicavi alle ruo­te grasse.
«Sì, la mia passione per il fuoristrada è immutata ma era difficile farla diventare un lavoro, mentre passando alla strada ho avuto qualche chance in più di guadagnarmi da vivere. Dopo un solo un anno tra gli under 23 sono stato no­tato da Gianni Savio e ho fatto il grande salto nel mondo dei professionisti. Della mtb con cui ho iniziato mi è ri­masto l’amore per la natura e le salite. Quando posso aiuto ancora la Rocca Cicli, la società del mio paese che mi ha messo in bicicletta ed è ancora attiva in campo giovanile. Per i bimbi a Corneliano d’Alba (CN) abbiamo co­struito un percorso di mtb e una pista di bmx per le quali ho materialmente contribuito anche io».

Perché il ciclismo e non un altro sport?
«Quando ero piccolo giocavo a calcio, ma quando ho scoperto la bici l’ho preferita al pallone perché mi piaceva di più, visto che è uno sport più individuale. Se vai forte o piano dipende solo da te, da quanto ti alleni, da quanti sacrifici sei in grado di sopportare. Quando frequentavo le scuole medie, avevo 13 anni, in classe ricevemmo un volantino e tra compagni decidemmo di andare a disputare la corsa che pubblicizzava. “Vediamo chi vince” ci di­cemmo. Vinsi io, perciò mi informai un po’ e iniziai a chiedere a mamma di portami ad un’altra corsa per divertirmi. Vinsi anche quella così ci presi gu­sto e continuai mentre i miei compagni di classe man mano smettevano. All’e­po­ca avevo la classica bici di tutti i bam­bini comprata al supermercato, le corse si svolgevamo all’interno di un parco giochi, io ero un ragazzino che vinceva e si esaltava con poco, dopo ogni garetta non vedevo l’ora di farne un’altra. Gli anni sono volati via velocemente, mi sono allontano da casa per inseguire il mio obiettivo e in un attimo mi sono ritrovato professionista».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di gennaio
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COMMENTI
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29 gennaio 2016 15:00 azalai
Ma Diego li tutti i numeri per mettersi in proprio in una squadra Top. Ha iniziato tardi, è cresciuto tantissimo, e se quest\'anno si conferma sugli stessi livelli penso che l\'anno prossimo potrà essere uno di due leader Dell astana. ... al posto di nibali

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