Massimo Besnati: «Il DNA? Non solo i ciclisti»

| 05/11/2006 | 00:00
Massimo Besnati è una sorta di istituzione fra i medici del ciclismo. E’ presidente dell’associazione, è nell’ambiente da più di vent’anni, ha seguito da vicino numerosi campioni e personaggi di primo piano. Adesso fa parte dello staff della Milram ed in particolare cura da vicino proprio Alessandro Petacchi. Come dire che Besnati ha le idee piuttosto chiare in materia di test del Dna. E fa subito una rivelazione: «E’ un argomento molto di moda, ma purtroppo per quel che riguarda l’Operacion Puerto e gli spagnoli, non se ne potrà far nulla. I giudici già l’hanno ribadito, non consentiranno mai di accedere alle sacche di sangue sequestrate. Ed allora quale test potranno fare? E poi una magistratura eventualmente darebbe quelle sacche ad un’altra magistratura, non certo ad un organo sportivo come l’Uci ». Il problema però riguarda anche il futuro. Fornire una mappatura genetica di ogni corridore potrebbe diventare un deterrente per lottare contro il doping. «Sono d’accordo, ma una simile decisione non spetta ai gruppi sportivi bensì a tutti gli organismi, di comune accordo e che vanno dal Cio alla Wada all’Uci al Coni. E’ vero che servirebbe per combattere il doping, però ragioniamo e discutiamo il tutto con serenità e con calma. Innanzitutto non deve sempre partire tutto dal ciclismo. Parlo da medico che conosce bene l’ambiente, che ha lottato anche quando si trattava di fissare l’ematocrito a 50, una decisione che ha fatto discutere ma ha salvato delle vite. Il ciclismo ha fatto tanto, prelievi di sangue all’alba nel giorno d’una classica importante come una Sanremo. Prelievi di sangue sul traguardo di una corsa. Confronti sangue e urine. Quanti altri sport li fanno? Adesso ben venga il Dna, ma per tutti i professionisti del mondo e per tutti gli sport».
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