LAMPRE MERIDA. Il mondo di Meintjes

PROFESSIONISTI | 27/01/2016 | 07:30
Lo scalatore del futuro viene dal Sudafrica ma ha il mal d’Italia. Louis Meintjes è na­to il 21 febbraio 1992 a Pre­toria, ma ama la pizza, il gelato, il caffè e quando torna a casa sente no­stalgia del nostro Paese.
«I’m a climber, living in Italy, loving ita­lian food and culture» si presenta via skype iniziando a raccontarci la sua storia che inizia così lontana dalla na­zione che l’ha adottato per farlo diventare un ciclista, professione che dalle sue parti è una vera e propria novità.

Argento iridato a Firenze 2013, battuto solo da Matej Mohoric, che da quest’anno sarà suo compagno di squadra, è passato al professionismo nel proprio in quell’anno, dopo essersi laureato campione nazionale in linea e a crono tra gli juniores (2010) e aver militato tra i dilettanti nel team Crabbé e nella Lotto-Belisol Under 23 ottenendo due titoli nazionali a cronometro (2012 e 2013) e uno in linea (2013), oltre a un successo nella pro­va contro il tempo al Giro di Corea e il debutto in una gara World Tour, ovvero Il Lombardia 2013 (52° posto).
Il 2014 ha portato nel suo palmares al­tri due titoli sudafricani Under 23 e la maglia di campione nazionale in linea pro, una tappa del Mzansi Tour e la ma­glia di miglior giovane al Giro del Trentino, in aggiunta al debutto nella Vuelta a España.
Nel 2015, al titolo di campione africano in linea si uniscono le vittorie nella classifica dei giovani al Tour of Oman, nella quarta tappa e nella classifica ge­ne­rale della Coppi e Bartoli e il quinto posto ottenuto nella dodicesima frazione del Tour de France. Questo scricciolo con la faccia da bambino, sui pedali si trasforma, classifiche alla mano ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per diventare uno scalatore di vertice del movimento ciclistico mondiale. Da quest’anno difende i colori della Lampre Merida, unico team tricolore del World Tour, motivo in più per conoscerlo meglio.

Da dove arrivi, Louis?
«Sono cresciuto in un paese chiamato Rustenburg, che si trova ai piedi delle montagne Magaliesberg nella provincia North West del Sudafrica, dove la mia famiglia si è trasferta quando avevo all’incirca quattro anni. Da allora ho sempre vissuto nella stessa casa fino a quando, per inseguire il mio sogno di diventare un corridore professionista, mi sono spostato in Europa. Dal 2013 trascorro gran parte dell’anno a Lucca, che è diventata la mia base. Ho un fratello più grande che si chiama Andre ed è ingegniere come papà Johan, mentre mamma Joe fa l’infermiera. L’anno scorso sono partito a febbraio per l’Italia e sono tornato in Sudafrica solo a ottobre, un lungo periodo lontano da casa...».

Chi ti ha trasmesso la passione per il ci­clismo?
«Ho sempre avuto una bici ma da piccolo la usavo solo per muovermi, andare a trovare gli amici e tornare da scuola, non la vedevo come uno strumento per praticare uno sport o qualcosa di serio come ora, anche perché dalle mie parti fino a poco tempo fa il ciclismo non era considerato un lavoro. Negli ultimi anni è cresciuta molto la consapevolezza della portata di questo sport, la partecipazione al Tour de France della MTN Qhubeka ha davvero avuto un’importanza storica, prima era buffo ogni volta dover spiegare come mi guadagnavo da vivere. La gente mi chiedeva: “cosa fai?”. Io rispondevo: “il ciclista professionista” e dopo qualche mi­nuto perplessi mi chiedevano nuovamente: “no, davvero, di mestiere cosa fai?” pensando che andare in bici fosse semplicemente un hobby che avrei potuto coltivare per un periodo prima di mettermi a studiare e a lavorare realmente».

Come è scattata la scintilla?
«A 16 anni ho semplicemente iniziato a gareggiare per una squadretta locale, il Rustenburg Club. Non era un vero e proprio team ma più che altro un gruppo composto da amatori o meglio cicloappassionati che uscivano assieme nel weekend per macinare una sessantina di chilometri. Quando ho iniziato, Chris Froome era alla Barloworld (2008-2009, team con sede britannica ma sponsor sudafricano, ndr). Lo vedevo crescere, così come altri corridori di spicco con cui oggi mi ritrovo in gruppo, e mi chiedevo: “Perché non dovrei provarci anche io?”. Se ripenso alla mia prima corsa su strada, ricordo che faceva un freddo tremendo e non avevo il materiale adatto né sufficiente per essere coperto a dovere. Avevo a disposizione una Relly, davvero basic, con cambio Shi­mano. Era una specie di granfondo, ognuno correva per sé e a una curva ho sbagliato strada, così alla fine ho persino dovuto pedalare 20 chilometri in più del previsto. Il primo ap­proccio con l’agonismo quindi non è stato dei migliori, anzi potremmo proprio definirla un’esperienza or­ribile, ma per qualche ragione ci ho voluto riprovare e poi è andata me­glio. Man mano che ho conosciuto questo sport ho imparato ad amarlo e ora sembra incredibile constatare dove sono arrivato».

Cosa rappresenta per te la bici?
«In questi anni ho imparato un me­stiere, sono molto felice del mio lavoro. Oggi mi sento un privilegiato, quando non ero un corridore sponsorizzato dovevo procurarmi tutto il materiale che è molto costoso, per lungo tempo ho dovuto risparmiare soldi, fare ricerce e pianificare tutto al meglio per potermi permettere di correre e far sì che quello che avevo mi bastasse per un anno intero. Ora il team mette a disposizione qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno, lo ap­prezzo, so quanto vale ogni prodotto che ci viene fornito e quanto lavoro c’è dietro. Non sono un patito della meccanica, in genere preferisco che il meccanico del team faccia il suo lavoro perché è più bravo di me, ma se c’è bisogno sono in grado di fare qualsiasi riparazione alla mia bici. Quando tor­no a casa non ho persone capaci di mettere le mani su un gioiello come quello che ho a disposizione ora, quindi ho dovuto imparare a fare da me e cavarmela da solo».

Soddisfatto del tuo 2015?
«Sì, perché sono cresciuto molto ri­spetto all’anno precedente. Alla Vuelta ho imparato che correre per la generale richiede molta più concentrazione ed è molto più stressante, sono convinto sia stata un’esperienza importante per il futuro. Ho raccolto parecchio, vinto la mia prima breve corsa a tappe e debuttato alla Grande Boucle, non posso che essere contento. Il miglior momento è stato senz’altro rappresentato dalla Lie­gi Bastogne Liegi, nello specifico quando negli ultimi 5 chilomteri ero nel primo gruppo e ho realizzato di essere con i migliori. La delusione più grande è stata dovermi ritirare dal Tour, al termine della tappa di Pra-Loup a causa di una grave gastroenterite: quando i medici mi hanno detto che non avrei potuto continuare la corsa e che sarei dovuto rimanere in ospedale altri due giorni, sono rimasto davvero senza parole ma la vita e il ci­clismo vanno così, ci sono momenti belli e altri meno belli, bisogna prenderli con la giusta filosofia».

In cosa devi migliorare?
«Data la mia giovane età, devo accumulare ancora esperienza e maturare per non commettere errori, diventare più forte ogni anno per arrivare magari al top un giorno. Amo sia le corse di un giorno che quelle a tappe, entrambe hanno un grande fascino, non ho preferenze tra le due. Se dovessi pensare al futuro, forse mi immagino più adatto per lottare per la generale nelle corse a tappe, ma vedremo crescendo dove mi porterà la strada».

Come trascorri il tempo libero?
«Leggo molto, effettuo ricerche sul ci­clismo, analizzo i risultati, studio nuovi metodi di allenamento e alimentazione. Il ciclismo mi piace molto, lo vivo co­me una bella sfida, fa parte del mio la­voro essere sempre sul pezzo ed ag­gior­nato. Ho frequentato la scuola fino a 18 anni poi mi sono iscritto a Bu­si­ness Management in un’università per corrispondenza ma in due anni sono riuscito a dare solo gli esami del primo anno e, visti i tanti impegni, ho deciso di mollare. Quando sono a Lucca esco con alcuni amici, ci sono diversi miei connazionali visto che la base europea della MTN Qhubeka è in Toscana, giusto per fare due chiacchiere o bere un caffè in compagnia».

Come ti trovi in Italia?
«Molto bene, da voi le persone sono più rilassate e amichevoli, sanno come godersi la vita, mentre al mio paese ci si lamenta sempre per la situazione politica, economica, lavorativa. Adoro la vostra cultura e il cibo. Quando tor­no a casa mi manca il cibo italiano più di quanto mi manchi quello africano - per lo più a base di carne - quando so­no a Lucca. Amo la pizza, prosciutto crudo e mascarpone è la mia preferita anche se non è proprio indicata per la dieta del perfetto ciclista (ride, ndr), e il gelato, qualsiasi gusto è sempre buo­no. Nel mio paese si trova solo alla va­niglia o al cioccolato prodotto dalla grande distribuzione, non c’è proprio paragone con quello fresco a cui ormai mi sono abituato».

Perché hai scelto un team italiano?
«Perché in questo paese mi sento mol­to più a casa che in qualsiasi altro po­sto in Europa. Quando Copeland mi ha chiamato dicendomi che erano interessati a me, è stato spontaneo rispondere di sì. Brent ha avuto un ruolo chiave nel mio arrivo in questa squadra, è una persona davvero eccezionale e sapere che qualcuno crede in te fa la differenza, sono felice di lavorare con lui e al­tre persone che hanno dimostrato di vo­lermi veramente. Fin dal primo ritiro ho avuto un’ottima impressione dei miei compagni, siamo un bel gruppo. Del clima in Lampre Merida mi ha stupito il fatto che sia gli atleti che i membri dello staff e i dirigenti sono tanto professionali e seri sulle cose importanti quanto spiritosi quando si può al­lentare la tensione. Mi trovo a mio agio anche perché, oltre a me, ci sono tanti altri giovani, con i quali fare amicizia è stato automatico».

Con la lingua come te la cavi?
«In squadra parlano tutti abbastanza bene l’inglese, ma il mio italiano sta migliorando. Capisco l’80-90% di quello che mi si dice ma rispondere cor­rettamente è molto difficile. Quali parole conosco? Diverse, ma non le pa­rolacce, che di solito sono la prima cosa che si impara di una lingua straniera. Sto imparando l’italiano dai libri e i libri è difficile che le riportino (ride, ndr)».

Il tuo programma gare?
«Ho iniziato in Australia dal Tour Down Under, ora ritornerò a casa per i Campionati Sudafricani. La mia stagione europea inizierà con la Parigi-Nizza per poi proseguire con Volta a Cata­lu­nya, Classiche delle Ardenne e alcune corse in Svizzera. Grandi giri? Sulla carta dovrei disputare il Tour de Fran­ce. Non ho una corsa preferita, ma la Grande Boucle è la più importante e se vuoi diventare il più forte devi confrontarti con le gare più prestigiose, quindi in Francia voglio far bene».

Caratterialmente che tipo sei?
«Non lo so, questa è una domanda difficile. Cerco di essere sempre sereno e calmo, spesso non c’è motivo per ar­rabbiarsi. Alcuni mi dicono che dovrei essere più aggressivo, dimostrare quanto davvero voglio una cosa ma sono fatto così, non ritengo di dover essere maleducato o prepotente per mostrare dove voglio arrivare. Il mio obiettivo è essere il migliore, diventare il numero uno, sto lavorando per quello. Se ci riuscirò sarò molto orgoglioso di me stesso e sarà stupendo, se non sarà così l’importante sarà aver fatto del mio meglio e non avere rimpianti».

E il ciclismo com è?
«Una bella sfida. Mi piace la progettualità che ci sta dietro. All’inzio dell’anno guardi il calendario e programmi la tua stagione, ti dai degli obiettivi e lavori per cercare di raggiungerli. Avere un obiettivo da raggiungere è stimolante. Tra 10 anni vorrei guardarmi indietro e poter dire di essere stato un buon ciclista, sentirmi soddisfatto di quanto raccolto. L’unico aspetto negativo di questo lavoro è che ci porta per tanto tem­po lontano da casa e dalle persone che amiamo. I miei genitori sono ancora scioccati, non ci credono che vivo dall’altra parte del mondo, ma mi supportano molto perché mi vedono felice e in Italia: lo sanno, ho trovato una se­conda casa».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di Gennaio
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COMMENTI
MENTIJES
27 gennaio 2016 14:23 baro
Mentijes e Mohoric li avevo visti a FIRENZE ne ho pure fatto le foto insieme , ci avrei scommesso che avrebbero fatto di strada come popolarita" e risultati e N.B il bello deve ancora venire VEDRETE nelle corse a tappe !!!!! UN GRANDE IN BOCCA AL LUPO A MENTIJES E MOHORIC

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