LE STORIE DEL FIGIO. Il volo del Falco. GALLERY

STORIA | 27/01/2016 | 07:28
C’è stato – e c’è – un “Falco” nel ciclismo così soprannominato prima ancora di Paolo Savoldelli, il “falco” soprattutto per la sua straordinaria abilità in discesa, dove appunto calava a valle come un falco.
E’ Dino Falconi, abbreviato in “Falco” per l’ambiente delle corse, romagnolo nato a Meldola il 1° maggio 1936, nell’attuale provincia di Forlì-Cesena ma cresciuto, in una famiglia adottiva, a Barbiano di Cotignola, sempre Romagna, a una cinquantina di chilometri di distanza. Dal paesaggio collinare di Meldola, alle spalle di Forlì, passa a quello piatto, piattissimo, di Cotignola, provincia di Ravenna, confinante con Solarolo.

Fin dalle elementari frequentate in una frazione di Solarolo, manifesta un grande interesse per le biciclette, un interesse inversamente proporzionale a quello per la scuola, tanto che la maestra, in quarta elementare, ricorda divertito Dino, lo invitava spesso, insieme a un compagno, a uscire dalla classe per raccogliere sacchi d’erba per i suoi conigli, quelli della maestra. Così, a undici anni, terminate con sollievo le elementari, è già a bottega, a Barbiano di Cotignola, quale garzone di Adriano Lugatti, corridore professionista nella Viscontea con il conterraneo Aldo Ronconi. Impara a “fare le ruote”, a cambiare pneumatici lavorando parecchie ore per giorno, sette giorni su sette. A lui piace e rimane sempre ammirato quando in bottega (tre metri per tre, non propriamente uno show-room) vede arrivare e, talvolta, intrattenersi professionisti quali Ortelli, Ronconi, Vicini, Pezzi per l’allenamento con Lugatti. Questi chiude la bottega per i suoi impegni di corridore professionista e il giovane Dino va a lavorare nella vicina Solarolo nella bottega di Aldo Monti. E’ qui che vede le prime, pochissime, lirette. A lui bastano però. Malauguratamente, dopo pochi anni, un infarto letale colpisce il suo ancor giovanissimo principale e amico. Ritorna a Barbiano e continua il suo lavoro nella bottega di Alvaro Garavini che, dopo quattro anni, cede l’attività a Dino Falconi. E’ la bottega dove “recita” tuttora anche se con orari e ritmi molto ridotti rispetto a quelli della prima giovinezza.

Nel 1971 lo distrae e lo allontana, almeno temporaneamente, dalla sua bottega un amico di sempre, Battista Babini, già buon corridore professionista nella Salvarani e nella Molteni e quindi apprezzato “masseur” che lo convince a “prendersi un mese di ferie” proponendogli di svolgere la sua funzione di meccanico per la GBC, guidata da Enzo Moser, al Giro di Spagna. L’esperienza piace moltissimo a Falconi che s’integra subito nel gruppo e con il primo meccanico, il veneto Zanin, dal quale apprende ii fondamentali del lavoro fra i professionisti che “Falco” integra con scambi d’esperienze con colleghi, anche stranieri, esperti del settore. Nell’agonismo la sua esperienza era stata, fino allora, fra squadre dilettanti romagnole. E si sente veramente in ferie quando va alle corse e lascia “incustodita” la bottega di Barbiano, dove i suoi clienti hanno comunque pazienza e lo aspettano. Una sensazione, quella di essere in ferie durante le corse, che lo accompagnerà sempre negli anni, fino al ritiro.

E’ quello che si definisce uno scapolone impenitente e nell’ambiente, corridori e personale, lo gratificano con il soprannome di “toro di Barbiano” che si presta a varie interpretazioni. Nel suo girovagare, nonostante la mole di lavoro, incrocia le strade di tanti e tanti corridori, campioni o gregari, non fa differenza, con i quali lega sempre celermente grazie al suo carattere gioviale e bonario. Parla sempre con toni bassi, quasi dimessi, preferibilmente in romagnolo con i suoi numerosi conterranei fra i quali Davide Cassani (innegabilmente il suo “poulain” con costanza di rapporti e affetto vicendevoli), Fabiano Fontanelli, Daniele Caròli, Romano Randi, Marino Amadori, Roberto Conti che è pure suo parente, Micol Gianelli (una n sola, quello con due n, il toscano Alessandro Giannelli, lo incontrerà, quale direttore sportivo e per sette anni, instaurando una saldissima amicizia, alla MercatoneUno) e, per acquisizione, l’australiano Michael Wilson. Tutti questi erano soliti tenere compagnia alle corse, subito dopo cena, al Falco che trafficava sapientemente con l’armamentario del meccanico fra coperture, guarniture, cerchi, mozzi, selle, nastri e via discorrendo. Era anche il bersaglio di scherzi e bonarie prese in giro che lo vedevano vittima, anche se, talvolta, ricambiava pan per focaccia. Sempre con misura, simpatia e rispetto, comunque.
 
Doti naturali che l’hanno accompagnato negli anni in carovana, unitamente alle capacità tecniche e lavorative, nelle sue esperienze che, dopo la GBC, l’hanno visto operare con la Dreherforte diretta da Luciano Pezzi, alla Magniflex con Primo Franchini, alla Famcucine ancora con Pezzi, alla Gelati con Piero Pieroni e poi con Moser, all’Alfa Lum, ancora con Primo Franchini. Un inciso a questo proposito. Lo spagnolo Marino Lejarreta, leader della prima formazione di Franchini, ogni volta che passa in Italia, fa sempre in modo di trovare il suo amico Falco. Un’esperienza che Falconi ricorda volentieri è quella, in un certo senso “rivoluzionaria” e d’avanguardia per l’epoca, vissuta con lo squadrone russo, basato nella Repubblica di San Marino, targato Alfa Lum con gli apporti di Ernesto Colnago, Giovanni Giunco team manager e l’amico Franchini d.s. - Segue  quindi un altro lungo periodo con Giancarlo Ferretti all’Ariostea. E’ poi la volta della Del Tongo e, successivamente, della Gewiss diretta da Emanuele Bombini. Approda poi alla MercatoneUno, nell’orbita di Luciano Pezzi, dove termina la carriera accompagnando la parabola di Marco Pantani per il quale nutriva, ricambiato, un grande affetto.

E’ stato a lungo anche nello staff dei meccanici della squadra azzurra del C.T. Alfredo Martini e, nel suo percorso, ha incrociato colleghi di valore con i quali ha sempre intrattenuto reciproci e ottimi rapporti. Ricorda il suo amico e conterraneo Edoardo Fucacci, il famoso “Ciarèn”, molto legato a Francesco Moser, scomparso in un incidente stradale qualche anno fa. I numeri che compendiano la carriera riferiscono di trentacinque anni fra i professionisti con trentatré Giro d’Italia, quattordici Tour de France, quindici Vuelta e quattordici nazionali azzurre e, nel cuore, la vittoria iridata di Maurizio Fondriest a Renaix. Altra grande emozione vissuta in diretta la performance di Marco Pantani all’Alpe d’Huez nel Tour 1997.

Ha sempre la sua bottega a Barbiano, continua meta di corridori e appassionati d’ogni età che sono sempre bene accolti e accuditi dal “Falco”, “Falco 1” rivendica con bonomia e sorridente ironia Dino Falconi, sovente ricordato e ricercato, anche per un semplice saluto, dai suoi “ragazzi” d’ogni età, come testimonia il suo amico Ivan Neri che raccoglie con particolare passione i suoi ricordi e le testimonianze fotografiche dei lunghi periodi di “ferie” trascorsi in corsa da Dino Falconi.

Giuseppe Figini
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