L'ORA DEL PASTO. Pardini vola ancora

STORIA | 13/10/2015 | 07:20
Quel giorno. Era il 7 agosto 1961, si correva la decima (delle 24 tappe) della Volta 61, il Giro del Portogallo, la Castelo de Vida-Penhas da Saude, 158 km, arrivo in salita a quota 1800. La tappa – si direbbe oggi – regina.

Quel giorno era il suo istante di storia, il suo momento di gloria, il suo attimo fuggente. Saltò sui pedali, saltò sugli avversari, infine saltò di gioia. Primo. La prima vittoria della sua carriera da professionista.

Giuseppe Pardini aveva 25 anni, indossava la maglia gialla dell’Ignis, era uno scalatore. Adesso va per gli 80, sventola i capelli bianchi e, seduto nella tribuna di Peccioli durante la Coppa Sabatini, si arrampica sui ricordi. Come si mangiava poco, come si dormiva male, come alla fine della corsa (la sua vittoria di tappa, il secondo posto di Marcaletti, il decimo di Cestari e il suo quattordicesimo nella classifica finale, il terzo dell’Ignis in quella a squadre) prese 500 scudi portoghesi, li cambiò in una banca di Lucca, equivalevano a 500 mila lire, che non sono i 250 euro di oggi ma erano un tesoro: lo stipendio di un anno per un operaio.

Papà operaio in fabbrica, mamma operaia in casa, lui terzo di sette, gemello di Genoveffa detta Gina, avete presente il bianco e il nero?, il nero era lei, nera come il carbone, il bianco era lui, a 14 anni già i primi capelli bianchi. Quinta elementare, poi a lucidare i mobili, a raccogliere il grano, a pigiare l’uva. E ad andare in bici.
E la prima bici. “Se arrivi prima di me – promise Sergio, il fratello maggiore – te ne compro una”. Giuseppe arrivò prima di Sergio, Sergio fu di parola e gliene comprò una, ma era usata, e grande, Giuseppe neanche ci arrivava, ma ci andò comunque, poi Sergio un po’ se ne vergognava, e avvertiva Giuseppe: “Non diciamo che ci si conosce”. E la prima squadra. “Volevo iscrivermi al Santa Croce, ma venni respinto, ero considerato troppo piccolo. Allora Pontedera, Centro sportivo Firenze alle Cascine, maglia bianca e rossa a toppe”. E la prima corsa. “A Perignano, un circuito, forai, rientrai e mi ritirai”. E la prima vittoria. “A  Fornacette, si rimase in due, io e un livornese, e lo battei in volata”. E il primo Giro d’Italia. “Nel 1959, la diciassettesima tappa, a Ferrara, caddi, entrai in coma, 10 ore, poi mi ripresi, secondo in una tappa e terzo nella generale al Giro di Sicilia”.

Pardini vola sulla Coppa Sabatini (“Primo nel 1958, per dilettanti e indipendenti, sesto nel 1959, secondo nel 1961”), vola dagli eroi (“Tenevo a Bartali, ma Coppi mi garbava di più”) ai capitani (“Baldini, Pambianco, Poblet… ma il più buono era Nencini”), dalla San Pellegrino (“Dove ognuno faceva come voleva”) alla Legnano (“Tutti per Massignan e Battistini, ma io, che ero piccolino, potevo anche non tirare”), da Santo Stefano Magra (“Seconda e ultima vittoria: scattai in salita, ripresi il fuggitivo, arrivai da solo”) al Muro di Sormano (“Giro di Lombardia, Taccone primo, io ventottesimo”). Pardini vola ancora. Come quel giorno.

Marco Pastonesi
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