FIANDRE. Matteo Trentin: «Il segreto? Restare in piedi»

PROFESSIONISTI | 05/04/2015 | 07:44
Ci sono corridori che aspettano l’ultimo chilometro per sprintare sul vialone come se stessero guidando una Ferrari. Altri che appena la strada sale si incurvano e vanno su come camosci, senza fatica apparente. Poi ci sono i corridori che vanno in maniche corte anche con la neve, che danzano sulle pietre come tanti nureyev, che arrivano al traguardo con la faccia sfigurata dal fango e dalla fatica: quelli sono i fiamminghi. Non è detto che debbano nascere in Belgio, ogni tanto ne viene su uno anche da noi.

Matteo Trentin, per dire, è un belga nato a Borgo Valsugana. Quelli della Quick-Step lo hanno capito prima di tutti: lo hanno visto correre quando era ancora un dilettante e gli hanno fatto firmare il contratto. «Per me è già tanto essere l’unico non belga della squadra». In realtà c’è anche Niki Terpstra, il vincitore dell’ultima Roubaix, che non è belga ma olandese: diciamo fiammingo. E poi c’è Zdenek Stybar, che è nato nella Repubblica Ceca ma poi ha scelto di cambiare: abita in Belgio, parla perfettamente il fiammingo e si è innamorato di una ragazza nata e cresciuta fra queste strade strette, in mezzo alle pietre.

POLVERE. Il Giro delle Fiandre è luogo incantato a magico, sporco e durissimo. I muri sono salite improvvise, fra le curve cieche nel cuore di un villaggio, o sul finire del bosco. Per attraversarli indenne devi imparare a correre in equilibrio sulle pietre. Franco Ballerini, un altro fiammingo nato per caso in Toscana, diceva che il pavè è come la neve: vai a cercarlo una volta l’anno, per la settimana bianca, ma se lo trovi sul vialetto di casa ti dà fastidio. «E’ esattamente così», dice Trentin, sdraiato sul letto dopo l’ultimo allenamento. «E’ brutto tempo da non so più quanti giorni. Brutto, insomma, tempo fiammingo». Oggi, per la corsa attesa tutto l’anno da un Paese intero, dovrebbe essere un po’ meglio, potrebbe scapparci addirittura un raggio di sole. «Vorrà dire che non arriveremo tutti infangati, ma tutti impolverati. Come minatori».
    
FANGO. L’epica del ciclismo non può prescindere dalle settimane delle classiche. Le prime sono per gli uomini duri, quelli che ballano soltanto sulle pietre. «No, non mi piacerebbe che tutte le corse fossero così. E’ bello proprio perché sai che questo clima e queste strade le incontri soltanto qui, una volta l’anno». La prima volta che è venuto a correre in Belgio Trentin aveva diciassette anni e faceva ancora il ciclocross. «Ma non è per quello che la mia corsa preferita è la Roubaix. Sono due cose diverse. Mi piace perché è la corsa più fisica. Che cos’ha di speciale il pavè? E’ che non lo puoi prevedere: entri e di per sè non c’è niente di particolarmente difficile, se non rimanere in piedi. Poi però tutto può diventare complicatissimo, in qualunque momento. In queste corse non lo sai mai quale può essere il punto decisivo. Magari arriva a centocinquanta chilometri dal traguardo, vallo a sapere». Si era innamorato delle pietre guardando la Roubaix con le sue mummie di fango alla televisione. A vent’anni, da dilettante, prese a noleggio un furgone e andò nelle Fiandre da solo, con un suo amico del paese. Trovarono una stanza da una famiglia, poco lontano dalla casa di Eddy Merckx. In certi posti sognare viene più facile. «Mi piace un po’ tutto qui. L’atmosfera è qualcosa di unico. Anche per le corse meno importanti ci sono migliaia di persone lungo le strade». Quando passa la corsa, sembra il terremoto. Le pietre, che per tutto il resto dell’anno stanno immobili ad aspettare, tremano sotto le ruote, spinte dalle aspettative collettive e dalle emozioni individiali. «Li senti, come fai a non sentirli? Qualche volta ho sentito anche il mio nome».
    
PIETRE. Quando è nelle Fiandre, Matteo fa il giro dei muri. «Quante volte? Troppe. No, non è un pellegrinaggio. Quello l’ho fatto fare alla mia famiglia». Lunedì è arrivato anche Giovanni, addormentato in braccio alla mamma, Claudia. Non è mai troppo presto per assaggiare il pavè. Giovanni ha cambiato la vita di Matteo facendolo diventare un giovane papà, lo scorso 23 gennaio. Due mesi dopo è arrivata un’altra pietra: la laurea in Scienze Motorie all’università di Verona. Sarebbe una favola se adesso arrivasse la consacrazione definitiva del corridore Trentin, dopo le due vittorie di tappa al Tour de France, Lione 2013 e Nancy 2014. «Ho avuto problemi alla schiena dopo la caduta in Oman. Ho dovuto rinunciare alla Parigi-Nizza. Ma adesso è tutto a posto, sono dove dovrei essere in questo momento». Certo, quando corri per la Quick-Step non puoi essere l’unica punta. il grande capo Lefevere ha citato Terpstra, Stybar, Trentin e Vandenbergh». Matteo sa di dover lavorare per la squadra, ma è pronto a cogliere l’occasione giusta. «Il collettivo è fortissimo. Poi siamo in due, tre, anche quattro che possono essere nel vivo della corsa. Ci siamo allenati bene. Vincere? Per me è ancora un sogno. Sarei contento di finire nei primi dieci. Se devo dire un favorito di un’altra squadra dico Thomas. Adesso è quello che va più forte». Poi c’è sempre quell’altra possibilità. Da raccontare a Giovanni quando sarà più grande. Sai, quel giorno avevi due mesi e mezzo e papà correva il Giro delle Fiandre...».

da Il Corriere dello Sport Stadio del 5 aprile 2015 a firma Alessandra Giardini
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