CASO PANTANI. Alessi e Porreca ci scrivono

LETTERA APERTA | 01/02/2015 | 13:41
Caro Direttore,

Indubbiamente il nostro è, anche, il Paese degli intrighi, delle macchinazioni, dei complotti, e via mal-dicendo. Non per nulla, rimane italica perla di saggezza quella per cui " a pensar male si fa peccato, ma sovente...ci si indovina". Certo è che, non   foss'altro per la  frequentazione professionale del Palazzo di Giustizia di Rimini, la mia città, ho vissuto quasi ... in diretta gli accadimenti e le riconnesse vicende giudiziarie che seguirono il decesso di Marco Pantani.

Fatti e processi che, senza tante chiacchiere, null'altro attenevano che le fasi finali, all'evidenza auto-distruttive, della vita di un giovane uomo. Direi, senza voler banalizzare, ordinari episodi di spaccio di sostanza stupefacente, di  modesta rilevanza criminosa, lievitati nel comune sentire esclusivamente per la planetaria notorietà di colui che ne risultava essere fruitore ed insieme vittima.

Marco Pantani, da tempo al crepuscolo sportivo ma, proprio per le imprese che ci aveva stampato negli occhi, marchiandoci indelebilmente l'anima di sportivi,  ancora e sempre "il PIRATA" . Diciamolo, francamente e senza pudore : un Campione che continuavamo a pensare all'attacco in salita, nel gesto rusticano  di gettare la sua bandana, e che non avremmo mai voluto sapere morto . Tanto meno nel modo disgelato (semmai ce ne fosse stato bisogno) dalle statuizioni di quegli  uomini che , nella vita, prendono il nome e svolgono il ruolo di Giudici. Uomini che ho conosciuto e che conosco, da ormai un trentennio. Che, come noi tutti, possono sbagliare. Uomini, però, che so per certo animati, prima , da una pudica ma scrupolosa volontà di capire ed approfondire  come e cosa  fosse accaduto, e soprattutto  chi avesse determinato il tragico epilogo, e poi sorretti da un ponderato ma determinato intento di svolgere al meglio il gravoso compito di prendere una decisione...in nome del popolo Italiano.

Quello stesso popolo che aveva osannato  il Campione, e che lo aveva pianto. Di un' infinita tristezza, di quel sentimento di partecipazione e commossa commiserazione  che, ancor'oggi, prende il nome di pietà. Pietà per un uomo morto, e morto solo, e pietà per un Campione che non  c'era piu'. Non credo  di ricordare male, se dico che non emersero, certamente nei giorni della scomparsa ed almeno nel corso dei processi che si celebrarono, reazioni scomposte o tantomeno rabbiose.

Nemmeno da parte della madre di quell'uomo,  che pur avrebbe avuto, in quei momenti,  mille e piu' comprensibilissime ragioni per reclamare, anche ferocemente se necessario, che nulla intaccasse la memoria del Suo Campione. Ma adesso, NO.

Ed il mio è un NO che certamente non puo' nè deve riguardare quanto è stato ancora fatto,  su di un piano giudiziario, per addivenire a ben diversi esiti  di una complessiva vicenda su cui, si pensava , fosse stata posta una pietra tombale. E' un NO a che si rischi di far prevalere la suggestione sulla realtà . Ed è un NO a chi  mi scrive un libro (si badi, opera meritoria e comunque degna di considerazione e rispetto) su come il Campione è MORTO.

I Campioni non muiono, mai . E, tanto per schierarsi , io sto con De Zan.
ADRIANO, un altro indimenticabile per il  Ciclismo , che con la voce incrinata da una stupenda commozione  ci spalancò gli occhi  su quel Campione venuto dal mare...

Cordialità.

Fiorenzo Alessi



Caro Pier,
 
leggo con il consueto encomio il tuo confronto sugli ultimi autori italiani che hanno rivolto attenzione al caso Pantani. In assoluto, e già a voce credo di averti espresso
questa considerazione, ha un valore molto relativo la scrittura, e la lettura, a posteriori su di un siffatto  sconvolgente dramma. Che ha totalmente valicato e denaturato,
dal 2004 a seguire, la soglia plausibile del caro Pantani ciclista. Il dilemma 'angelo o diavolo' era francamente molto più civile nel 1999, con la scrittura bifronte che il
sottoscritto e Maietti ne diedero su ispirazioni ed ottiche  diverse - e parimenti sofferte, pagate con il dolore - nel libro pubblicato da Limina ('Pantani ed io' - 'Un kriss nella schiena').

Non ci interessa invitare alcuno a recuperare un libro ormai introvabile, ma scritto allora con la chance impagabile che Pantani e Martinelli, all' Hotel 'Fiordaliso' di Terracina, l' inverno successivo, potessero incontrarci, e testimoniarci la loro versione dei fatti, dopo essersi confrontato con quelle pagine.

Ed ancor più dopo aver acquisito nella mente il testo 'Provvedimentoi di archiviazione' dell' Ufficio di Procura Antidoping, pubblicato appunto integralmente in quel volume. E che è una lezione esemplare,  con tanto di congedo affettuoso, per chi di ciclismo avrebbe raccontato - in buona fede ed a prezzi di cuore, come noi ? - negli anni a seguire. Ed a caro Pantani, purtroppo, non in grado di replicare loro.
 
tuo
 
Gian Paolo PORRECA
 
 
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