LIBRI | 19/11/2014 | 14:30 Qualcuno ricorda più il “mistero” del cibo cinese? Eppure fu l'elemento “sconvolgente” al quale per anni si appigliarono quanti rifiutavano la versione ufficiale dell'isolamento e della morte del Pirata, prima di arrendersi all'evidenza: si trattava semplicemente della vaschetta d'alluminio con la frittata dell'ultima cena. Ora nessuno ne parla più, ma dalla presentazione dell'esposto (depositato in procura il 24 luglio scorso nel giorno in cui il primo ciclista italiano sedici anni dopo Marco Pantani metteva la sua ipoteca sul Tour de France e alla vigilia della pausa feriale), a cadenza regolare spuntano altre rivelazioni “clamorose” che dovrebbero mettere via via in discussione le conclusioni della prima inchiesta sulla tragica fine del campione, avvenuta più di dieci anni fa, a San Valentino, in un residence di Rimini. Tra gli indizi sottoposti alla magistratura, e parallelamente al grande pubblico, c'è anche la confezione di un cornetto Algida. Eppure anche chi vorrebbe fare del dramma di un uomo un giallo, converrà che lo scioglimento di una trama così complessa non possa coincidere con quello di un gelato. Oppure c'è il tintinnar di forchette e l'analisi ossessiva del filmato della Scientifica che, paradossalmente, fornisce i principali spunti per le critiche alla polizia. Senza considerare però che gli agenti non erano obbligati a girarlo e se avessero avuto qualcosa da nascondere avrebbe potuto buttarlo via senza correre guai. Analizzare sotto la lente ogni singolo dettaglio investigativo, senza tenere conto del risultato dell'inchiesta e dei processi, equivale a far vedere ossessivamente alla moviola l'errore di un guardalinee su un fallo laterale al novantesimo o i calzetti del colore sbagliato del direttore di gara (do you remember?) senza spiegare che però la partita è finita quattro a zero. Che cosa sarebbe cambiato senza quelle piccole incongruenze da parte della “terna” arbitrale?
A volte non si tratta neppure di errori. Può un orologio fermo risolvere un caso di omicidio? No, tanto più se poi si scopre, come viene rivelato nel libro “Delitto Pantani: ultimo chilometro” (uno dei tanti dettagli inediti), che il Rolex era probabilmente rotto fin dal giorno prima della morte se è vero che Pantani chiamò al telefono la reception per chiedere l'ora. Proporsi allora di inseguire i “complottisti” sul loro stesso scivoloso terreno, cioè tentare di dare risposta a tutti i singoli interrogativi sollevati di volta in volta, è però una sfida insidiosa. Ogni dettaglio, fuori contesto, finisce infatti per apparire sospetto, suggestivo, misterioso. Se si osserva un quadro troppo da vicino la materialità rischia di confondere: si sprofonda nel caos dei grumi di colore, si trattiene il fiato per le imperfezioni, si storce il naso per graffi del pennello senza importanza. Ma basta fare due passi indietro per cancellare l’oscura trama capace di disorientare e riconoscere con chiarezza il soggetto rappresentato. Nonostante la macchina del Mito sia evidentemente in moto con l'ambizione di sovrapporre un racconto popolare alla realtà (e vecchi testimoni smaniosi di entrare a far parte della narrazione), i fatti sopravvivono. Il portiere del residence che ritrovò il corpo, riascoltato nell’ambito della nuova inchiesta, ha confermato agli inquirenti: “La porta era chiusa da dentro e ostruita da qualcosa, ho dovuto spingere con forza per farmi largo”. Nessuno sarebbe potuto uscire di lì: Pantani morì di droga, disperazione e solitudine. Il referto parla di “intossicazione acuta da cocaina”. Conclusione sottoscritta all'epoca anche dal consulente della famiglia Pantani, confermata dalle sentenze.
Nei mesi precedenti aveva già rischiato di morire per overdose altre quattro volte a Cesenatico, a Saturnia e a Miramare (Rimini) e a L'Avana, a Cuba. Il medico personale aveva consigliato più volte ai genitori, fino a poche settimane prima della tragedia, di farlo ricoverare con la forza per impedirgli di distruggersi, ma loro si erano opposti al Tso. L’omicidio venne escluso fin dalla prima ispezione cadaverica (né segni di violenza né lesioni da difesa). Nella stanza c'erano ovunque tracce di polvere bianca e scritti di difficile lettura, conferma del delirio da cocaina (che subentra dopo ore di assunzione ed è incompatibile con un avvelenamento da terzi). Gli interrogatori consentirono di ricostruire le abitudini dell’ultimo Pirata, quelle di un tossicodipendente (circostanza fino ad allora conosciuta solo dai familiari e dal proprio entourage). Partendo esclusivamente da tali evidenze gli investigatori della Squadra mobile di Rimini, che non avevano ragione di preferire una pista a un'altra (e professionalmente avrebbero “preferito” l'omicidio), si indirizzarono verso l’overdose. Una deduzione confermata dall’individuazione degli spacciatori (esito non scontato) e dalla loro confessione. I processi confermarono che l’ultimo spaccio avvenne sulla soglia del residence. «Non sono poi emersi elementi - si legge nella sentenza del processo di primo grado - che possano far ritenere che nell’appartamento si sia svolta una colluttazione e che Pantani sia stato indotto a forza ad assumere cocaina. Quest’ipotesi, alla luce di quanto emerso, non è affatto praticabile. A ciò s’aggiunga: nessuno dei dipendenti della struttura ha riferito d’avere sentito voci, litigi, discussioni provenire dalla camera la mattina del 14 febbraio. Pantani lamentava la presenza di estranei che nessuno ha visto e le cui voci nessuno ha sentito». Sembra la risposta ai dubbi di oggi, ma fu messa nero su bianco sei anni fa, in nome del popolo italiano.
da «Il Corriere dello Sport» del 19 novembre 2014 a firma Andrea Rossini
Il libro. «Delitto Pantani: ultimo chilometro (segreti e bugie)».
Nda press. Biografia sportiva Pietro Caricato, 168 pagine, euro 11,90 (esce in libreria oggi 19 novembre)
Non è più storia. E' solo "una storia", un giallo, un noir. Ognuno con il proprio garage pieno di libri invenduti, ognuno aggrappato a un lembo di "verità", ognuno con qualcosa "che voi umani non sapete". Scrive chi c'era, chi non c'era, chi avrebbe potuto e chi non avrebbe potuto esserci. Pantani è morto a colpi di penna, ormai. Marco, perdonali e riposa- finalmente - in pace.
concordo con tonifrigo
20 novembre 2014 11:08canepari
al 100%....
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