FORMOLO, LA GIOVANE ROCCIA

PROFESSIONISTI | 05/10/2014 | 08:54
Davide Formolo è così umile che non lo ammetterebbe mai, ma di sicuro quando ha visto Nibali in trionfo sugli Champs-Élysées un pensierino deve averlo avuto. «Un mese fa al Campionato Italiano in salita ero l’unico in grado di lottare con lui, ho solo 21 anni, tra un po’ di stagioni potrei essere lì anche io». Lui nega, con una genuinità a cui non si può che credere, ma in tanti gli hanno fatto notare che per età e potenziale può sognare in grande. «Sono un ragazzo tranquillo, con i piedi per terra, ho solo pensato quanto quel momento fosse bello per lui e per il nostro movimento, per quanto mi riguarda vedremo cosa mi riserverà il futuro. È presto per volare così alto».
Nato a Negrar il 25 ottobre 1992, vive a San Rocco di Marano di Valpolicella, un paesino sulle montagne veronesi letteralmente impazzito per il suo campioncino.
«Si tratta di una cittadina piccolissima, la maggior parte della popolazione è composta da pensionati che si trovano al centro ricreativo per seguire tutti as­sieme le mie corse. Sono più entusiasti di me per come sto andando, li ringrazio per il loro affetto e li aspetto a fine ottobre per una bella festa».
1.82 mt per 63 kg, 410 watt alla soglia, in costante e graduale crescita, è una delle promesse più belle del nostro ci­cli­smo. Lo chiamano Roccia fin da quan­do aveva 5 anni perché è da sempre competitivo e non molla mai: in questo primo anno nella massima categoria in maglia Cannondale il giovane scalatore, nonostante qualche intoppo fisico (da vero pupo a inizio stagione ha avuto persino la varicella, ndr), ha mostrato di che pasta è fatto, anche a parole.

Davide, sai che al termine del Trofeo Me­linda qualcuno ha insinuato che hai “re­galato” la maglia a Nibali?
«Lo so e ora mi viene da ridere a pensarci. Dispiace sentire queste cose, io ho dato il massimo, è brutto che la gente pensi male. Io sono a posto con me stesso, so di avercela messa tutta, non sono un velocista e le mie gambe ad un certo punto contro uno come Nibali hanno fatto quel che potevano. Non sono uno che si accontenta quindi non mi fa piacere arrivare secondo dietro a nessuno, anche se sono giovane e so di avere davanti a me tante occasioni per rifarmi, per me e la squadra».

Vedere Vincenzo vincere il Tour che effetto ti ha fatto?
«È andato veramente forte, aveva un cambio di ritmo impressionante, ha corso da numero uno. Ha battuto i fa­vo­riti sul pavè, in salita volava, rispetto alla concorrenza aveva una marcia in più. Si è meritato il successo. Sono felice per lui e per il movimento italiano. I media mi sembra gli abbiano dato il giusto risalto, la sua figura è una bella pubblicità per il ciclismo. Da quando so leggere non mi ricordo un ciclista in prima pagina sui quotidiani generalisti, per lui e per il nostro ciclismo comunque finisca quest’anno il 2014 resterà nella storia. Speriamo Nibali riesca a disputare anche un bel Campionato del Mondo».

A proposito, com’è stato vestire la maglia azzurra al GP Industria Commercio e Artigianato in terra di Toscana?
«Fantastico. La convocazione di Cas­sani è stata una bellissima sorpresa, mi ha stupìto e motivato veramente, vestire la maglia azzurra al primo anno da pro non è da tutti e ne sono consapevole. La gara si è dimostrata impegnativa anche per la pioggia, sull’ultimo strappo siamo rimasti io, Adam Yates e Manuel Bongiorno, ho provato a scattare in salita e ad allungare in discesa, ma Yates mi ha ripreso a un chilometro dalla fine e in volata è stato nettamente superiore a me. Ad ogni modo è stata una bella emozione, speriamo ricapiti».

Sai che al ritiro della Nazionale in Tren­ti­no prima della sfida tricolore una collega di una testata importante ti aveva scambiato per un bambino a caccia di autografi?
«Bella questa (ride, ndr). In effetti ero il più piccolo tra i convocati ed ero entusiasta come un tifoso. Essere chiamato dal CT con corridori che finora avevo praticamente solo visto in tv è stato da pelle d’oca. Ho fatto anche qualche piccola gaffe, ma penso mi sia stata perdonata. L’ultimo giorno, per esempio, terminato l’allenamento non trovavo più le scarpe da tennis, le avevo messe sul camion della Can­non­da­le come i giorni precedenti ma i meccanici le avevano spostate per trasferirsi all’altro hotel, così a pranzo sono sce­so in ciabatte. Pozzato e gli altri han­no iniziato a prendermi in giro, ma alla fine dovevo scegliere tra andare a mangiare scalzo o in ciabatte. Non sarò stato elegante, ma ho optato per il me­no peggio e poi ho chiesto scusa al CT».

Come finirà la tua stagione?
«Dopo il Canada e l'avventura mondiale, mi aspettano Il Lombardia e il Tour of Beijing in Cina».

Dall’America alla Cina in meno di due mesi. Tanti ragazzi della tua età sognano viaggi di questo tipo.
«È vero, noi corridori siamo fortunati, il nostro lavoro è così. Mi piace viaggiare anche se alla fine della fiera la strada è sempre uguale e la fatica è sempre la stessa in qualunque angolo del pianeta ti trovi. Scherzi a parte, in questo finale di stagione voglio confermare quanto fatto fino a giugno. Voglio far capire che non sono una “rondine che non fa primavera”. Ci tengo a far bene al Lombardia. È una corsa che sono andato a vedere spesso perchè non è lontana da casa, già solo parteciparvi per me è il top, cercherò di onorarla dando il meglio, anche per far felici i miei fans che sono sempre più scatenati e attendono la mia prima vittoria nella massima categoria».

A chi la dedicherai?
«Al mio Capo, che è mancato il 16 luglio di un anno fa. Daniele Tortoli era l’anima della Petroli Fi­renze Wega Contech, la squadra per cui ho militato per tre anni, per me e molti altri ra­gazzi è stato un vero maestro. Ho scelto la sua squadra perché quando Da­niele parlava mi trasmetteva una tranquillità senza pari, fin dalla sua prima telefonata ho capito che aveva una mar­cia in più rispetto a tutti gli altri direttori sportivi, senza nulla togliere a loro. In più, quando dovevo passare dilettante, nel team toscano si era co­struito un bel gruppo di veronesi con Tedeschi, Mazzi, Zorzan e il trentino Andrea Concini, quindi non ho avuto tentennamenti. L’ultima gara in cui ho visto Daniele era il Campionato Ita­lia­no, era già molto sofferente per la ma­lattia, ha lasciato un grande vuoto nel team tanto che Sandro Pelatti della Pe­troli Firenze comprensibilmente non se l’è sentita di continuare senza di lui. Un direttore come Daniele è difficile da trovare (Davide si commuove nel ricordare Tortoli, ndr). Penso spesso a lui: ogni volta che devo prendere una decisione penso a cosa mi avrebbe consigliato. Purtroppo il mese scorso è morto anche il presidente della Petroli Firenze, Giovanni Pelatti, a cui era sta­to diagnosticato un tumore al pancreas il giorno del Campionato Italiano di Malè. I medici avevano preannunciato che gli rimanevano 40 giorni di vita e purtroppo non si sono sbagliati. Do­po il GP Larciano mi sono fermato in Toscana proprio per portargli un ultimo saluto. L’ho trovato molto sereno perchè aveva sistemato tutti gli aspetti burocratici e fiscali per evitare qualunque problema alla famiglia, per non delegare ad altri quanto poteva ancora fare lui, è sempre stato precisissimo anche con la squadra. Per lui noi corridori eravamo come tanti figli, ci veniva a trovare tutti i giorni in ritiro, ci chiedeva come stavavamo, se avevamo bisogno di qualcosa. Era davvero premuroso. È stato un anno terribile per la squadra. La mia prima vittoria sarà per Daniele e Giovanni».

Oltre a loro a chi devi dire grazie per dove sei arrivato?
«Ai miei genitori, che sono più contenti di me per come sto andando. Mam­ma Marina, casalinga e papà Livio, di professione camionista, mi dicono sempre: “crediamo in te, fai tu”. Mi lasciano carta bianca nelle decisioni, cercano sempre di farmi volare con le mie ali, ma se sono in difficoltà mi prendono e mi sollevano loro. Sono discreti, ma sempre dalla mia parte. Ho un fratello maggiore, Jonathan, che ha 28 anni e fa il magazziniere. A supportarmi c’è anche la mia fidanzata Mirna, l’ho conosciuta tre anni fa a una festa ed è tra le pochissime persone che sa quanti sacrifici affronto ogni giorno per la bicicletta. Ah, in casa da qualche mese è arrivata una new entry. Si tratta di Bric, il nostro cane da tartufi. Il no­me l’ha scelto mamma».

Raccontaci come ti sei avvicinato al ciclismo.
«Fin da piccolo amavo stare a contatto con la natura, mi piaceva aiutare il non­no nei campi, la bici ha rappresentato prima un gioco poi un mezzo per andare in giro, divertirmi e sfogare il mio agonismo. Ogni domenica papà usciva a divertirsi con gli amici, alla mattina in bici e al pomeriggio sul wind surf sul Lago di Garda. Ricordo benissimo la mia prima bici, sarà durata una settimana (ride, ndr). Era di acciaio, viola, di ottava mano, vecchia e tutta arrugginita, però bellissima. La prima gara a 7 anni, ero agitatissimo perché finalmente facevo sul serio, dopo aver passato anni ad assistere alle corse di mio fratello che al pomeriggio riproponevo nella strada sotto casa con la fantasia, non avendo ancora l’età per gareggiare. Quel giorno ho attaccato il numero e mi sono detto “ora davvero sono uno del gruppo”. Una bella emozione, co­me la prima corsa da professionista».

Se non avessi fatto il ciclista cosa pensi saresti diventato?

«Dove abito c’è un forte richiamo ver­so l’agricoltura, come si dice braccia (o gambe nel mio caso) rubate... Oppure, visto che ho studiato meccanica, magari avrei potuto lavorare in un’officina. A scuola mi sono proprio divertito e mi sono appassionato a questo settore. Fino a qualche anno fa ero particolarmente attento alla mia bici e al suo funzionamento, ora ho smesso di stressare i meccanici perché abbiamo a disposizione il top del materiale e uno staff veramente qualificato, non potrei chiedere di meglio».

Come trascorri il tempo libero?
«Con la mia ragazza, insieme ci divertiamo molto, ci bastano cose semplici. Seguo volentieri tutti gli sport di endurance, dal triathlon allo sci di fondo, dopo l’allenamento mi piace guardare le gare in tv. D’inverno purtroppo non riesco a dilettarmi con gli sci perché ci si allena sempre più presto con la bici. Ho molti modelli nel mondo dello sport, il mio idolo indiscusso è sempre stato Michael Schu­ma­cher. Da bambino mi alzavo alle 5 del mattino con papà per vedere le sue ga­re, mi dispiace davvero per quanto gli è accaduto, per me resta un fenomeno».

La Cannondale al termine di questa stagione chiuderà i battenti, con che maglia ti vedremo l’anno prossimo?
«Ci tengo a dire che mi dispiace molto per la squadra e che quest’anno per me è stato molto prezioso. Questa squadra dall’anima italiana era perfetta per un giovane come me alle prime esperienze, i direttori sportivi tanto professionali quanto alla mano mi hanno dato consigli preziosi e mi hanno messo a mio agio, tanto che non avevo paura an­che a porgere una domanda che po­teva sembrare stupida. È un vero peccato oltre che per i corridori, per lo staff e i tecnici, tanti padri di famiglia resteranno senza lavoro. Per quanto mi riguarda seguirò il marchio Can­non­dale che si prepara a diventare secondo sponsor della Garmin, essendo passato come altri miei compagni con un contratto biennale».

Cosa ti auguri per il tuo futuro?
«Prendo quello che viene, faccio quello che posso, so che il lavoro prima o do­po paga. Non mi pongo limiti, ogni giorno mi alleno dando il massimo. Se arrivasse la vittoria sarei l’uomo più felice del mondo, come vi ho detto ho già identificato i candidati perfetti per la dedica».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di settembre
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