GIUDICI DI GARA. Una storia tutta da scoprire - 8 - FINE

STORIA | 02/09/2014 | 08:20
Dopo l’incorporazione di metà degli anni ’60, un’altra data importante per la categoria dei giudici di gara è il 1971. Risale, infatti, a quell’anno l’entrata in funzione dei giudici su motociclette. Termina così l’epoca degli ispettori a bordo delle ammiraglie per le gare professionistiche. Tre giudici di gara in moto sono destinati al controllo della corsa. Per le gare professionistiche il collegio di giuria si compone di un presidente, due componenti (poi tre per i grandi giri), il giudice d’arrivo, tutti su autovettura e senza l’obbligo del tettuccio apribile più tre commissari su moto. L’innovazione si richiama a tre nomi che la studiarono e la attuarono: Aldo Spadoni per i giudici di gara, Lino Massaretti, segretario dell’U.C.I.P. (Unione Ciclismo Italiano Professionistico) e Giovanni Michelotti, condirettore in corsa con Vincenzo Torriani de “La Gazzetta dello Sport-Organizzazioni”. Com’è facilmente comprensibile l’uso di motociclette consente, in corsa, una più rapida possibilità di movimento e una maggiore vicinanza, anche nei tratti di strada più disagevoli, alle varie fasi della corsa.

Per la categoria un altro momento significativo si colloca all’inizio del 1980 quando entra in vigore il divieto per i giudici di gara, di ogni tipo e categoria, d’essere soci in società ciclistiche. Apparentemente e ufficialmente la motivazione è di accentuare la figura di terzietà del giudice per favorire e rimarcare la sua indipendenza di giudizio ma il fine vero, anche se non dichiarato esplicitamente, è quello d’impedire alla categoria di pesare, con il voto, sull’attività, diciamo politica, della federazione. La tendenza è sempre quella di connotare la categoria dei giudici di gara di “tecnicità” o “tecnicismo”, che dir si voglia e renderla sempre più dipendente dell’apparato. E’ un bene? E’ un male? Comunque così è e, pare, lo sarà sempre di più.

Un momento fondamentale, che potrebbe definirsi “storico”, almeno in ambito ciclistico, si colloca nella seconda metà degli anni ’80, diciamo 1987/88. E’ qui che, sulla spinta soprattutto dell’ Unione Ciclistica Internazionale che entra e incide sempre di più nella gestione di molti aspetti dell’attività ciclistica, avviene una vera e propria rivoluzione. Sì, perché di rivoluzione si tratta. Il controllo sportivo della corsa è demandato al collegio di giuria e non è più partita del direttore di corsa quale delegato dell’organizzatore. E’ di questo periodo l’affermarsi delle designazioni dirette U.C.I. dei presidenti e dei componenti il collegio di giuria per tutte le più importanti classiche a livello internazionale e del presidente straniero a tutte le corse professionistiche. C’è dapprima una grande e, talvolta, feroce resistenza al cambiamento. Il collegio di giuria non è solamente il controllore della disciplina ma diventa l’arbitro, tanto per rifarsi a una terminologia calcistica. In Italia insorge la categoria dei direttori di corsa e, pure nelle espressioni al massimo livello, si vedono talvolta, anche in televisione, quasi delle sfide rusticane fra auto direzione e auto giuria (che con la riforma devono potere disporre, per regolamento, di autovetture con il tettuccio apribile…..) per occupare la posizione di preminenza. Col tempo le asperità dei primi periodi della riforma si placano e si trova un modus vivendi dove però, sovente, non mancano colpi di spillo tendenti a riaffermare e decretare, ognuno per la sua parte, competenze e prerogative ascrivibili al proprio ruolo fra direzione corsa (la terminologia ufficiale U.C.I. recita “direttore di prova” e gli affida soprattutto compiti di sicurezza della viabilità della gara) e giuria. Aldilà del ruolo fa però sempre aggio sulla correttezza e capacità d’interpretazione del ruolo medesimo l’elemento dell’intelligenza e della preparazione personale. Non è la divisa che fa l’uomo, anzi! Qualcuno, purtroppo, deve ancora comprenderlo, se mai lo comprenderà. Qui, a proposito, ricorre il nome del “buon governo”, sempre equilibrato, di Marco Bognetti, per molti anni responsabile della commissione commissari dell’UCI dopo l’esperienza maturata quale presidente della CNGG.
E poi è storia d’appena ieri e anche di oggi.

Ci fermiamo qui e ci auguriamo che coloro i quali avranno la voglia e la pazienza di leggere queste note che si propongono solamente di rappresentare una piccola cronistoria, base di partenza aperta a tutte le possibili e augurabili integrazioni e precisazioni, valutino l’iniziativa quale stimolo di conoscenza, curiosità e coscienza della propria funzione, anche “culturale” (le virgolette sono interpretabili….) della categoria.
Al proposito, nelle ricerche anche fra addetti ai lavori, a vario titolo, non abbiamo trovato molte tracce di conoscenza o anche semplice desiderio di conoscenza. E questo, francamente, ci dispiace e conduce a riflessioni, considerazioni e prese d’atto dello stato di cose che molti lamentano ma che subiscono da qualche tempo senza fare nulla per modificarle.
Abbiamo però avuto conferme importanti di preparazione, competenza e partecipazione da parte di pochi ma ottimi, in verità, appartenenti alla categoria che sono e sono state autentiche “colonne” anche se “over 70”. Non facciamo nomi. Loro lo sanno e li ringraziamo, anche in nome della categoria.

Unica, dovuta, meritatissima eccezione è il nome di Antonio Penati, indefesso raccoglitore e geloso custode di grandi e tanti “memorabilia” del ciclismo d’ogni epoca, giudice d’arrivo di lungo corso e di straordinaria passione per le varie espressioni delle due ruote. E’ lui la fidata memoria anche di tante storie e reperti della categoria che vive sempre con costante passione e impegno.

Presidenti CNGG
Aldo Spadoni dal 1975 al 1980
Enzo Tamarin 81-84
Marco Bognetti 85-92
Antonio Coccioni 1993-2000
Gianni Meraviglia 2001-2005
Rodolfo Biancalani 2006 – 2012

Da ricordare anche i brevi periodi di Renato Pisati e Celeste Granziera

Giuseppe Figini

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