NEL MONDO DI NIBALI. Pallini, l'uomo che sente con le mani

PROFESSIONISTI | 01/09/2014 | 08:03
Lo fa ridere: è l’unico che fa ridere Vincenzo quando gli fa del male. Quando va in pro­fondità, con le sue forti mani e quella dita che ascoltano i muscoli. Lo fa ridere, per il dolore, perché a Vin­cenzo non va proprio di piangere o gridare per il male…
«È fatto così Vincenzo, più sente dolore e più lui ride come un matto. Capita poche volte, quando il muscolo non è a posto, quando c’è da lavorarlo in pro­fondità, ma capita».
Michele Pallini è l’uomo che con le sue mani predice il futuro. «In verità ormai lo capisce perfettamente anche lui: sa co­noscersi come pochi, sa ascoltarsi co­me nessuno. A seconda di quello che sente quando gli manipolo le gambe, lui sa se sta bene o no, se il giorno se­guente sarà una giornata buona oppure no. Io lo sento chiaramente, tanto è vero che Fantozzi (Paolo Slongo, mentre Filini è Pallini) mi chiede: “Come sta Vincenzo?”. E io gli dico come l’ho sentito, come penso che stia…
Pisano di “porto a mare”,  classe ’71, spagnolo di residenza (per una relazione con Sandra Ni Hodane, oggi massaggiatrice della Orica: storia finita da tempo, ndr) ma ancora per poco, massaggia la maglia rosa dal 2007 e ormai Piddu, «in squadra Vincenzo lo chiamiamo così)», lo conosce come pochi.

Prima di parlare di Vincenzo, parliamo un po’ di te: se ti dico Alessandria cosa pensi?
«A Elena (Dua, 29 anni, la futura mo­glie, ndr), la mia compagna che diventerà moglie il prossimo 19 ottobre. Ales­­sandria è dove l’ho conosciuta. Giro del Piemonte, facciamo base all’Hotel San Michele, lei lavorava li come cameriera. Andiamo a convivere nel 2012 e il 5 agosto dello scorso anno nasce Paolo, che si chiama come mio papà. Grande appassionato di ciclismo che oggi non c’è più».

Ti sposi ad ottobre: Vincenzo testimone…
«No, testimoni i miei fratelli, Fran­cesco e Luca. Vincenzo che è un fratello aggiunto, sarà l’autista. Speriamo vada piano…».

Se non c’è discesa…
«Beh, sa andare molto bene anche in discesa».

Michele, come sei arrivato nel mondo del ciclismo?
«La passione per il ciclismo si respirava come l’aria. Mio zio correva da giovane, negli anni ’50, poi ha trasmesso la “malattia” a mio padre, mancato quat­tro anni fa, che a sua volta l’ha passata a me e a mio fratello minore. Ho gareggiato fino a junior primo an­no, ma è inutile girarci intorno: andavo piano. Così, dopo il servizio militare, mi sono concentrato sugli studi. Perito elettrotecnico prima e poi il titolo di infermiere professionale con specializzazione in massofisioterapia a Mon­te­ca­tini Terme. Il giorno dopo l’esame, sono partito per il mio primo Giro d’Italia. Nel 1996 ho infatti debuttato nel Team Selle Italia-Glacial, poi ho trascorso un anno nella Refin-Mo­bil­vetta e quello successivo, per problemi familiari, ho lavorato a gettone (a giornata, ndr) alla Cantina Tollo. Poi rientro nel giro: dal 1999 al 2004 ho lavorato in Saeco, nel 2005 in Liquigas. Dal team di Dal Lago e Amadio purtroppo devo andarmene, per incomprensioni con Danilo (Di Luca, ndr), quindi trascorro le due stagioni successive alla Lampre. Nel 2008 torno alla Liquigas».

Quando conosci Vincenzo?
«Nel 2007 in occasione di una preolimpica in Cina con la Nazionale. La pri­ma impressione che ho avuto di lui ad es­sere sincero non fu delle migliori, for­se perché entrambi caratterialmente siamo un po’ chiusi. Sapete cosa chiesi al mio collega Michele Del Gallo (il massaggiatore di Pozzato, ndr) riferendomi a Vincenzo? “Ma a questo, se­con­do te, viene naturale rompere le balle così?”. Lui mi rispose: “No, è so­lo giovane”. E aveva ragione lui. A ri­pensarci oggi, mi viene da ridere perché tra di noi si è creato un legame speciale. L’anno successivo al nostro in­contro sono passato alla Liquigas e mi sono stati affidati i giovani, quindi lui, ma anche Kreuziger, Pellizotti e gli altri emergenti. Ho iniziato a lavorare in maniera più specifica con lui alla Vuelta a España 2010, quella che vinse. Io non dovevo andarci, facendogli i mas­saggi qualche tempo prima gli avevo però raccontato i miei programmi dicendogli che nel periodo successivo sarei stato a casa. Lui mi stupì di­cendo candidamente: “E io come faccio?”. Visto che mi voleva con lui, chiesi ad Amadio se potevamo cambiare il mio programma e senza problemi Ro­berto mi disse di sì. Da quella volta, la­voro praticamente a tempo pieno con lui, tra ritiri e corse mi resta davvero poco tempo da dedicare ad altro».

Quindi Vincenzo era un rompino…
«Era un precisino, e lo sai perché? Per­ché lui da ragazzo ha fatto anche un corso di massofisioterapista e quindi ci capisce. Lui non dice nulla, ma sa. E all’inizio mi metteva alla prova, voleva capire come lavoravo. Oggi si fida».

Stessa diffidenza avuta per l’agopuntirista…
«Lui inizialmente è scettico, deve sapere prima di farsi mettere le mani addosso. Si documenta, chiede, riflette, tira le sue conclusioni e poi se è convinto si lascia andare. Di lui si dice che è molto istintivo, ma è anche molto razionale».

Di lui si diceva anche che avrebbe sofferto le interviste e invece se l’è cavata benissimo, anche quando gli facevano domande sul doping…
«Vincenzo è timido, introverso, un po’ diffidente, ma sa anche quale è il suo compito. Quali sono le sue responsabilità. E poi a lui piace rispondere quando gli fanno le domande sul doping, perché vuole costantemente ripetere che oggi il ciclismo è cambiato. Questo per lui è un punto fermo».

Come è il rito del massaggio?
«Nella stanza in cui facciamo i massaggi, per abitudine, non metto mai la tv. Vincenzo o ascolta la musica o dorme. Ma nell’ultimo anno è difficile che dor­ma. Ora è molto più presente. Si parla, ascolta un po’ di musica, ma non dor­me più».

Una cosa che non devi fare mai…
«So che è meglio chiamarlo alle 22.30 piuttosto che alle 16.00, orario in cui senz’altro sta facendo il pisolino. Sono piccole cose, ma è per farvi capire la complicità che ormai si è instaurata tra me e lui. Un aneddoto per farvi capire quanto è meticoloso? Vuole che il nu­mero dorsale sia sempre perfetto, sul body per le cronometro pretende che lo attacchi rigorosamente io perché sa che come lui sul lavoro sono un precisino. Un altro esempio? Mi ha comprato i feltrini per i piedini del tavolo da massaggio per non rischiare di ri­gargli il pavimento di ca­sa».

Com’era la tua giornata tipo al Tour?
«I compiti cambiano da corsa a corsa, ma le giornate dei massaggiatori sono sempre molto lunghe. Di solito ci si sveglia alle 6.30 e si va a letto attorno a mezzanotte. Nelle tre settimane al Tour, alla mattina mi occupavo di preparare tutto ciò che riguarda l’alimentazione liquida, quindi le borracce con acqua, sali, zuccheri, maltodestrine mentre un altro collega si occupava dei panini, delle barrette e il resto. Con il cuoco ero deputato a stare con gli atleti a tavola durante la colazione. Non per servirli, ma per fare gruppo. Martino (Martinelli, ndr) mi voleva lì, come all’arrivo, perché sono quello che ha più confidenza con il leader, quindi nel caso si fosse creato qualche problema in squadra con uno sguardo me ne sa­rei accorto e con una parola avrei potuto cercare di risolverlo. Alla partenza davo una mano al bus assistendo Vin­cenzo, anche se di solito prima del via non ha bisogno di niente di particolare e poi mi occupavo del rifornimento. Quindi all’arrivo gli davo una mano a cambiarsi, lo aspettavo per la conferenza stampa. In hotel, mentre lui era sotto la doccia, gli lavavo i panni, rigorosamente a mano. A seguire arrivava il momento dei massaggi e finalmente la cena».

Poche storie, ma poche maglie…
«È fatto così, ha tutte le sue piccole manie. Vuole che gli lavi sempre la stessa. Non ne vuole di nuove... O me­glio, quella della Roubaix che era sporchissima e non riuscivo a lavarla ce l’ho io, poi alternavo una maglia più pesante e una leggerissima: insomma, queste le lavavo a mano e Vincenzo non voleva che le cambiassi. Come la storia del calzoncini: non lo indossa mai quello dello stesso colore della maglia: solo alla fine, se tutto va come deve, per far felice lo sponsor tecnico, tutto per un discorso di marketing, perché se fosse per lui non farebbe neanche quello».

Cosa non fa rispetto ad altri corridori che hai avuto per le mani…
«Non gli ho mai fatto un massaggio prima della gara e non ha mai usato un olio riscaldante, nemmeno quando c’è un freddo polare. Altre sue piccole grandi manie? Odia le banane, in squadra le mangiano tutti, lui no. E poi guai a lavargli i calzoncini, la maglietta e le calze e poi metterle nell’asciugatrice: non vuole. Dice che secca l’indumento e rovina l’elasticità del capo».

E poi…
«I capi devono essere morbidi, in particolare i calzini. Lui ha piedi molto delicati e se la calza non è bella morbida, nello sfregamento, quando spinge a fondo, gli si arrossa l’alluce. Gli viene come una fiacca, quindi bisogna stare attenti».

Niente banane, cosa ama mangiare?
«Paninetti e tartine di pasta frolla con martellatine di frutti rossi: mirtilli e fragole i suoi gusti preferiti».

Una cosa che dovevi sempre fare prima di una tappa del Tour…
«Sul motorhome gli applicavo sempre sul collo il kinesotape, per alleggerire le tensioni. Sono quei cerotti che usano tanti sportivi, vi ricordate quelli blu di Balotelli?... Ecco quelli. Quelli di Vincenzo, invece, dovevano essere rigorosamente color carne».

È vero che non è un maniaco dei social?…
«Non ama i social, non ne comprende il senso. Ogni tanto mi ripete: “Se ho voglia di chiamare un mio amico, lo chiamo. Se voglio mandargli un messaggio lo mando a lui, non voglio che lo sappia il modo intero”. Il mondo però ha imparato a conoscerlo lo stesso».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di agosto
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