TOUR DE FRANCE | 20/07/2014 | 14:42 Stavolta Nibalik si risparmia la vittoria, perché in fondo il fuoriclasse dev'essere capace di bei gesti (in questo caso a favore del giovane Maika), ma intanto si dà all'alta chirurgia. Anche Valverde, l'ultimo dei rivali, più ipotetici che reali, si allontana oltre lo sbarramento dei 4'. Se ne cucina uno al giorno, ormai non sa neppure più chi cucinarsi. L'ultimo avversario in corsa, nel fantasmagorico Tour di Vincenzino, è ormai l'imponderabile: il Tir contromano, il vaso di anemoni in testa, il vibrione del colera.
Ma neppure la classifica blindata placa e placherà il nostro Nibalik. Il Tour se lo sogna da una vita, vuole sbafarselo fino all'ultima fetta. E' un Tour che sa di pistacchi e cassata, dei dolci ricchi e forti della sua terra siciliana. Lui stesso è un campione così, saporito e aromatico, da sempre. Ha la testa sulle spalle, ora è pure padre di famiglia responsabile e affettuoso, ma quando sale in bicicletta si trasforma con strani superpoteri. Diventa estroso e fromboliere. Basta riguardare la moviola: nelle primissime tappe inglesi ha vinto con la stoccata a sorpresa nell'ultimo chilometro, sul pavee della Roubaix ha umiliato Contador volteggiando come un Fred Astaire sulla pista da ballo, in montagna passa le giornate all'attacco. Scollinato l'Izoard, li stacca tutti pure in discesa, una delle sue arti più note e più raffinate. Non sta mai fermo, le maestre direbbero che il soggetto è un po' vivace.
Chi glielo fa fare, si chiedono i freddi calcolatori della tattica. Nessuno. Non glielo fa fare nessuno. Potrebbe vivere di rendita, mettersi a ruota, speculare. Ma Nibalik è di un'altra pasta. Il suo ciclismo è divertirsi e divertire. Da questo punto di vista è un italiano particolare, diciamo che incarna in chiave moderna lo spirito vero dei nostri mitologici emigranti: ha fame, non si accontenta, conquistato un obiettivo se ne inventa subito un altro, perché un vero punto d'arrivo non esiste mai. Certo lui ne ha uno domenica prossima sui Campi Elisi, ma possiamo stare sicuri che neppure quello sarà definitivo. Dal giorno dopo, smaltita la sbornia, comincerà a porsi una nuova domanda: perché non vincerne un altro?
da «Il Giornale» del 20 luglio 2014 a firma Cristiano Gatti
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