BARTALI. Un Centenario che fa riflettere

STORIA | 17/07/2014 | 13:28
Cento anni fa, prima ancora di una Guerra Mondiale Prima, nasceva Gino Bartali. Nasceva a Ponte ad Ema, nel Valdarno, profonda Toscana, un eccelso campione del ciclismo, figlio di atmosfere contadine ed umili e padre di quella Italia successiva, che si sarebbe sollevata a stento, anche grazie all' abbrivio di una bici da corsa cui consegnare i sogni di gloria, dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale.

Cento anni, Bartali. E cento anni di gratitudine esponenziale, e con il degrado dei valori attuali ancor più, in sella ad una bici ed al suo spirito di homo faber. 124 successi in una lunga carriera da 'pro', estesa dal '39 al '54, con 3 Giri d' Italia ('36, '37 e '46) 2 Tour de France ('38 e '48), 4 Milano - Sanremo, 3 Giri di Lombardia, 4 titoli nazionali, 2 Giri della Campania. Uno scalatore formidabile, dalla progressione micidiale, un passista inossidabile, eppure anche velocista imprevedibile, se si pensa a quella 'Sanremo' del '50 in cui riuscì a precedere uno sprinter senza eguali come Rik Van Steenbergen.

Cento anni fa, Bartali, che avrebbe riempito le pagine dei giornali ed i cuori degli italiani, in scia ad una amica Radio ed ai resoconti degli inviati... Con la sola assenza, a fronte di tante giornate vinte, in una parabola iniziata con la Portocivitanova - L' Aquila del Giro '35 e conclusa con il Circuito di Cologno Monzese '52, di un titolo mondiale nella sua leggenda.
Tour de France Giro d' Italia Milano-Sanremo..., e cosa vuoi che sia un iride in meno, nel ricordo che non costa fatica, ma è naturale devozione, di quel campione granitico che fece tremare i francesi ed inorgoglire gli italiani, con l' impresa titanica, scavalcando la Guerra, del rivincere un Tour a 10 anni di distanza: 1938, il primo, 1948, il secondo. E vi raccomandiamo i secondi: Verwaecke, a 20 minuti, nel '38, e Schotte, a quasi mezz'ora, nel '38.

Cento anni, Gino Bartali, scomparso ad 85 anni e passa, il 5 maggio del 2000. Una fine corsa emblematica, a ripensare, segno di millenni che volgono, il 2000, per il congedo di un campione che è stata figura forte, 'uomo di ferro' sull' Izoard, così differente dal tratto romantico del suo avversario italiano per destinazione, Fausto Coppi, 'il Campionissimo', di lui più giovane di un lustro, ed airone condannato al volo di Icaro.
Bartali, nel confronto, ha indossato sempre la maturità dei trenta anni, da eroe antico; e Coppi invece, da eroe moderno, sempre l'anima inquieta, rimbaudiana, dei venti anni... Religioso, il primo. Ed invece bigamo, peccato che oggi - e da tanto tempo - fa sorridere, il secondo, in quel dilemma che appassionò l' Italia degli anni '50.

Ma Bartali è altresì protagonista civile, è campione dentro, tanto per non dimenticare la spiritualità di uno che fu, da ciclista, un buon apostolo della vita. E non furono solo scalate, non solo Pirenei, non solo il Macerone, non solo una borraccia contesa o scambiata con Coppi, non solo l' aridità compiaciuta di un Almanacco o di una scheda tecnica.
Non solo fughe per il trionfo, non solo Izoard, non solo Briancon, non solo l' Italiano in Fuga, caro a Paolo Conte, scalpitante sui suoi sandali, bianchi di polvere sugli stradoni, perchè l'asfalto non era ovunque.

Ma Bartali è ancora, a leggere bene, il probo lessico familiare, non una fiction, di un quotidiano che non conosceva la Tv ma l' aratro ed il volgere delle stagioni, con il padre Torello agricoltore e la mamma Giulia che ricamava per le signore. E la sorte di nascere in una economia domestica che ambiva ad avere il contadino tanto desiderato - 'sai, dopo due figlie femmine' -, e che avrebbe invece trovato, in quel terzogenito Gino, un ciclista inatteso da illuminare.
Già, quella bici compagna di vita, il suo confessionale, conosciuta per andare a scuola, 40 chilometri al giorno, e poi per 'imparare un mestiere dal Casamonti', e che l' avrebbe portato infine da atleta, prima alla 'Frejus' e poi alla mitica 'Legnano'. Senza smarrire mai, per companatico, la profonda fede religiosa, Gino Bartali 'il pio', e la sua Azione Cattolica, cui era iscritto sin dai dieci anni. 'Cambiava giacca, ma non dimenticava mai di spostare il distintivo..', come raccontava il figlio Andrea.

Arriva Bartali, sulle nostre pagine ancora, come sulle strade qualche vita fa, e cento anni dopo, il suo polittico di Grande Italiano, che avrebbe meritato un titolo di Senatore a vita, non si è fermato alla sequenza di vittorie e sconfitte, di Coppi e Magni, di Bobet e Koblet, in una litania dove solo Kubler è ancora vivo, nella epopea più nobile che la storia dello sport ricordi. Quelli, i distacchi e gli applausi, le folle in bianco e nero che straripano dai fotogrammi appaiono, grazie ad una informazione postuma, solo il deja vu, gli spettacolari corollari di una straordinaria etica e di una dimensione civile senza confronti.

Perchè Bartali, come non aveva mai confessato in vita, nel segno della discrezione encomiabile di un samaritano vero, era stato un Giorgio Perlasca, un partigiano di cuore, in bicicletta. Lui che durante la Guerra portava nascosti nel telaio i salvacondotti per gli ebrei toscani, da Firenze ad Assisi e ritorno, ed aveva l' ardire, ciclista di coraggio, di non calare lo sguardo di fronte ad un tremendo maggiore fascista, di nome (improprio) Carità.
Quello stesso Bartali, più terreno, che nel luglio '48, in quel Tour vinto a 34 anni, guadagnando nelle due tappe alpine venti minuti a Bobet, forse salvò dalla guerra civile una Italia in tumulto per l' attentato a Togliatti. 'Sai, me lo disse De Gasperi, e me lo avrebbe confermato anche Pajetta, che poi se toccavano Bartali, se toccavano me, era come se gli avessero toccato Stalin...'. Non ne avrebbe parlato facilmente. Ne parlavano gli altri, quelli che gli dedicarono il primo Albero, nel Giardino dei Giusti di Firenze. Non avrebbe parlato facilmente di sè, così come del desiderio di aiutare, da buon redentore, Fausto Coppi a tornare dalla prima moglie.

Gino Bartali, cento anni dopo, è anche un ricordo personale del '92, alla premiazione dei vincitori del Premio Bancarella Sport, a Cervia: 'a te, che scrivi di ciclismo di questi tempi, do la mano sinistra, quella del cuore'. La voce rauca due volte, la risento ancora, 'l'è tutto da rifare'. (Sapessi oggi, Gino...).
Ma vale molto di più la lezione del congedo. 'Ci si va spogli, senza trionfi, dal Signore. Ci sono medaglie che si appuntano sull'anima, quelle solo contano, sai'.
E Gino Bartali, il ciclista di Ponte ad Ema che parlava alle montagne, ebbe realizzato l' ultimo desiderio, alla morte. Essere vestito, da ignudo, solo con il mantello bianco da terziario carmelitano, qual era. Come un campione dell' altro mondo.
 
Gian Paolo PORRECA
da 'Il Mattino', 17 luglio 2014
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