GIUDICI DI GARA. Una storia tutta da scoprire - 3

STORIA | 01/07/2014 | 11:35
3a puntata

Il Congresso dell’U.V.I. di Montecatini Terme nel dicembre 1947 ratifica, con una relativamente esigua maggioranza di 33 voti,  la nascita del nuovo organo, l’ANUGC appunto, con specifica autonomia tecnico-funzionale, che ha, quale riconosciuto “papà”, il conte Vincenzo di Cugno di Molviano, un dirigente industriale milanese che occupava posizioni di responsabilità alla multinazionale C.G.E. e,  nel contempo, coltivava una grande e competente passione per il ciclismo. Ancora oggi, alla bella età di novantacinque anni, Vincenzo di Cugno rappresenta la vivida e documentatissima memoria dell’ANUGC. E’ stella d’oro e stella d’argento al merito sportivo del Coni e presidente onorario dell’U.N.V.S. – Unione Nazionale Veterani Sportivi -. La sua storia con il ciclismo è iniziata quale responsabile tecnico del settore giovanile dello Sport Club Genova di Milano, il sodalizio fondato da Rodoni. In questa veste è stato anche lo scopritore di un giovane talento friulano, Oreste Conte, che poi si affermò nel professionismo. Tecnico, esperto e appassionato di ciclismo, ma è pure giudice di gara.
di Cugno - in Lombardia, già subito dopo la guerra, nel 1945-46, con l’autorizzazione dell’allora presidente del Comitato Regionale Lombardo, cav. Gelpi, nell’ambito del GLUGC (Gruppo Lombardo Ufficiali di Gara del Ciclismo), dalla comune sede di via Montello, in zona Porta Volta, nei pressi dell’Arena Civica - aveva già dato vita ad un primo embrione di organizzazione, selezione e formazione dei giudici di gara in sede regionale. Un modello alla base che poi, con significative modifiche, ampliato, è trasferito e applicato in sede nazionale.
Per la piena comprensione della possibilità di fare coesistere nella medesima persona ruoli così diversi bisogna sapere che fino alla costituzione dell’ANUGC per essere tesserato dall’U.V.I. quale giudice di gara bastava iscriversi presso il comitato regionale d’appartenenza e dichiararsi buon conoscitore del ciclismo. Per sole cento lire, diventate 200 nel ’46 e già la ragguardevole cifra di 800 lire nel ’48, questa era la quota annuale, ci si poteva fregiare del titolo e svolgere l’attività in ambito regionale e, via via, nazionale e pure internazionale. Senza preparazione specifica, senza esami, con designazioni e avanzamenti, talvolta, non rispondenti a criteri obiettivi e meritocratici.
Compiendo un altro passo a ritroso di Cugno racconta che prima del 1935 il controllo delle corse era affidato ai Commissari dell’U.V.I. e che, a partire appunto dal 1935, la denominazione di coloro i quali rivestono tale ruolo si trasforma in Ufficiali di Gara. Durante il “ventennio” fra le due guerre mondiali sovente i giudici di gara “officiavano” in orbace e, com’era in uso, allora, dovevano seguire una sorta di liturgia che si richiamava alle mode in auge al tempo. Prima del via ufficiale tutti dovevano inneggiare al regime e il grido “a noi” si accompagnava all’abbassarsi della bandierina dello start (scusate, della partenza, per rimanere in tema d’autarchia, anche linguistica….).
L’U.V.I. designava, per ogni corsa nazionale, il Commissario che aveva il compito di ammettere in corsa i corridori controllando e verificando la validità della licenza e sovraintendeva alle operazioni di punzonatura, quando con un’apposita tenaglia, o punzone (da qui deriva il nome), s’applicava il piombo al mezzo meccanico per certificarne  l’aderenza alle norme in vigore. Poteva poi seguire, volendolo, la corsa.
Il controllo della corsa era competenza della giuria composta dal presidente, due componenti e dal giudice d’arrivo che potevano anche essere”indicati” dalla società organizzatrice, prima dell’entrata in funzione dell’ANUGC.
In sede regionale, sempre dopo l’entrata in funzione dell’ANUGC nazionale, solo il presidente e il giudice d’arrivo erano designati dall’ANUGC mentre i due rimanenti componenti della giuria erano indicati dalla società organizzatrice.
Per ricercare una più ampia comprensione di queste situazioni è da tenere presente anche l’obiettiva difficoltà di quei tempi con a disposizione scarsi mezzi – vetture e/o moto – che consentissero la presenza e il controllo della corsa. Non erano infrequenti casi di tagli di percorso, prolungate scie da automotomezzi guidati da amici compiacenti, rifornimenti abusivi, sostituzione di ruota (non consentite dal regolamento di allora) anziché il cambio del tubolare e via discorrendo. Si sa, come dice il proverbio, declinato in chiave ciclistica, che l’occasione fa il corridore e i direttori sportivi, diciamo furbini o birichini. Poi, come già riferito, a questo si deve aggiungere la sovente deficitaria preparazione dei designati a tali delicati incarichi poiché gli stessi designati erano scelti nel novero delle amicizie degli organizzatori o di dirigenti di società o di strutture federali.

Giuseppe Figini

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