DONNE | 24/06/2014 | 08:26 E’ passato un anno. Mi ritrovo a guardare la mia cicatrice sulla pancia. E’ lì tranquilla, quasi bianca. Mi sembra quasi impossibile che quella “cosa” lì fosse un taglio che faceva un male tremendo mentre cercavo inutilmente di rialzarmi per salire in bici e riprendere la mia gara.
Dodici mesi. Me l’hanno detto subito quel giorno al pronto soccorso: “Elisa, sei proprio una persona fortunata. Non sappiamo come tu abbia fatto a non aprirti in due”. Ma a me che importa? Sono tutta arrabbiata perchè sono caduta, non posso muovermi e non so se posso tornare a correre entro la fine della stagione. A me proprio non frega un accidente di essere stata fortunata o meno, di aver rischiato di spezzarmi in due come un Oro Saiwa. A me girano le scatole a mille perchè sono al pronto soccorso e non sul podio del campionato italiano. Trecentosessantacinque giorni. Una fotografia su “La Gazzetta dello Sport” e un articolino in cui si dice che mi sono spatasciata contro un guardrail e che la mia stagione è finita. Ciao Giro, ciao Mondiali, ciao 2013. Ma sono proprio io quella ragazza tutta storta attaccata al paracarro? Ho ben capito perchè non riuscivo a sfilarmi da là sotto, sarà 20cm di altezza! Ma come ho fatto ad infilarmici? Manco un geometra. Ho proprio fatto un lavoro certosino, è vero che le cose o si fanno bene o non si fanno. Si deve avere stile. A parte questo, mi infastidisco. La mia stagione non è finita e ho appena iniziato una sfida con me stessa: il mondiale di Firenze deve essere corso. Devo guarire, mica stare in ospedale o nel letto, oh! Adesso.Mi ritrovo a guardare la mia cicatrice sulla pancia. E’ lì tranquilla, quasi bianca. “Elisa, sei proprio una persona fortunata”. E stavolta mi rendo conto che è vero. Lo sono. Potevo aprirmi veramente in due ma Qualcuno ha deciso che mi sarei tagliata, ma fino ad un certo punto. Quel che basta per mettermi alla prova e per farmi affrontare una situazione difficile, che non è un esame all’Università o staccarsi in salita. Per farmi crescere. Per comprendere cos’è davvero soffrire, che non è il male alle gambe in una cronometro. Per accettare la sconfitta ed interpretarla come un momento di riflessione sui propri sbagli, come un nuovo inizio e non un punto morto al quale si è arrivati. Per farmi capire quanto sia davvero fortunata a vivere come vivo, a fare quello che faccio, ad avere quello che ho. La mia cicatrice è lì tranquilla, quasi bianca. Ci ho litigato quasi un anno; in tanti mi hanno detto di toglierla facendo una plastica e ammetto di aver desiderato di farlo per parecchio tempo, ma alla fine ho iniziato ad andarci d’accordo perchè è parte di me: è quello che ero, quello che sono diventata e quello che sarò. E’ la MIA cicatrice e quando mi lamento di qualcosa lei è lì a ricordarmi che sono una ragazza fortunata. Sono stata fin troppo profonda per i miei gusti, vorrei solo ricordarvi che il 29 correrò il Campionato Italiano a Varese e cercherò di non sdraiarmi. Inoltre so di aver messo il post prima del compleanno della mia cicatrice, ma oggi è il giorno di riposo e quindi mi sono messa ad aggiornare questo povero blog che inizia già ad essere trascurato!
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