QUELLO CHE CI HA INSEGNATO LO STELVIO

TUTTOBICI | 20/06/2014 | 08:02
Piccolo è bello, ma anche utile. La conferma l’abbiamo avuta da questo ultimo Giro d’Italia. La Bardiani Csf della famiglia Reverberi ha messo in mostra le cose migliori. Tre vittorie di tappa, tante giornate in avanscoperta, molti chilometri di fuga. Insomma, tanta battaglia da parte dei giovani del “green team” di Bruno e Roberto Reverberi, che da quattro anni a questa parte svezzano con sapienza e scrupolo la meglio gioventù.
Non meno efficaci sono state la Androni Giocattoli di Gianni Savio e la Colombia di Claudio Corti. Hanno dato battaglia, sfiorando anche i successi di tappa, chiudendo in posizioni più che onorevoli. L’unica che è mancata all’appello è la Neri Sottoli di Angelo Citracca e Luca Scinto, ma quello di quest’anno è stato sicuramente un Giro di transizione. La squadra è stata in parte rifondata e, molto probabilmente, sbagliata è stata anche la preparazione. Troppo in palla a gennaio, febbraio e marzo, i ragazzi di Scinto sono arrivati in riserva a maggio.

In ogni caso piccolo è bello, alla faccia di chi invece ha la puzza sotto il naso e non accetta il confronto con le Atalanta, le Udinese o il Sassuolo del nostro ciclismo. I budget di questi team sono di dieci volte inferiori di quelli degli squadroni World Tour? E allora? Anche i bilanci di Atalanta, Udinese e Sassuolo non hanno nulla a che vedere con quelli di Juventus, Milan e Inter. Però piccolo è bello perché tirano su i giovani. Li svezzano. Insegnano loro il mestiere, prima di consegnarli pronti per il salto di qualità a team di maggiore forza e di più solida struttura. Rigoberto Uran l’ha scoperto Fabio Bordonali; Claudio Corti ha già distribuito corridori in tutto il mondo, ad incominciare da Chris Froome; i Reverberi idem come sopra, in questi anni ne ha fatti crescere un’enormità. E anche Scinto, con i suoi «yellowfluo» ha fatto altrettanto. Piccolo è bello, ma è anche utile.

Questi team sono molti preziosi anche da un punto di vista “politico”, diciamolo pure. Tutti fanno gli schifiltosi, ma alla fine avere dei team che corrono perché sono invitati fa comodo a molti organizzatori. Prendete la terribile giornata dello Stelvio: in  quelle ore convulse e animate sono circolate tante voci e soprattutto tanti sentimenti. Alla sera, poi, a bocce ferme, non si è placata la rabbia. Molti team di World Tour erano davvero sul piede di guerra. Non è trapelato molto, ma c’è stato un momento in cui alcune di queste squadre volevano abbandonare la corsa per protesta. Gli organizzatori hanno gestito la crisi con garbo e lucidità. Ammettendo in camera caritatis le proprie colpe ma al contempo ricordando loro che la corsa non si sarebbe fermata, perché c’era chi avrebbe in ogni caso proseguito: le squadre “Professional”, quelle invitate. Sì, proprio loro, le piccoline, quelle da tutte avversate e considerate la periferia del ciclismo, che alla bisogna però, tornano sempre molto utili: perché danno battaglia, perché onorano le corse, perché crescono i giovani, perché danno delle opportunità e posti di lavoro a tante persone e in certi casi sono anche un prezioso salvagente per gli stessi organizzatori. Sarebbe il caso quindi, di creare in questa prossima e ventura riforma del ciclismo una serie A del ciclismo con uguali diritti, con uguali doveri, con pari dignità, senza la discriminante dei soldi, ma privilegiando l’aspetto sportivo. Una serie A a 18 squadre, con le prime dieci garantite di correre le massime corse del calendario e le altre otto - sempre con un criterio soprattutto sportivo - chiamate a partecipare a rotazione alle altre prove di World Tour. Ma non perché sono invitate e quindi sopportate, ma perché nonostante i loro budget siano piccoli, nonostante i loro corridori siano tanto giovani o tanto vecchi, hanno il merito sportivo conquistato sulle strade a suon di risultati e hanno punti per stare lì, tra le migliori formazioni del mondo. Questo ci ha insegnato la giornata dello Stelvio. Per avere un ciclismo senza figli e figliastri bisogna riconoscere il lavoro di tutti, senza pregiudizi e distinzioni pelose. Se mai ci sarà un altro Stelvio, che tutte le squadre abbiano la forza di andare avanti, o di stare ferme. Tutte assieme. Basta con questa divisione tra ricchi e poveri. Belli e brutti. Garantiti e ricattabili.

di Pier Augusto Stagi, editoriale da tuttoBICI di giugno

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COMMENTI
20 giugno 2014 23:01 Line
insegnato lo Stelvio ?
che il ciclismo non cambierà mai
c'e sempre qualche FURBO
Marco

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