DOPING | 10/04/2014 | 09:31 "Il doping? A 23 anni il mio valore di potenza aerobica era 84 e sviluppavo qualcosa come 7,16 watt per chilo. E non sapevo minimamente che cosa fosse l'Epo". La "fuga" in maglia gialla dal Tour de France del 2007 ha precipitato Michael Rasmussen nel girone dei cattivi dello sport. Tuttavia l'inferno dell'ex iridato danese di mountain bike è popolato di personaggi a prima vista angelici, di cherubini che con le due ruote o con un pallone (ma anche con una racchetta, con gli sci o con la cuffia e gli occhialini...) hanno avuto una carriera immacolata solo perché un po' più fortunati, o protetti, con gli esami del sangue. Gente che in materia di doping non ha ufficialmente niente da dire se non rifugiarsi dietro le banalità di circostanza; ogni parola in più sarebbe un attentato alla propria coscienza. Rasmussen no, ormai è andato oltre; le sue esperienze di vita lo hanno messo in condizione di squarciare il velo dell'ipocrisia. Ecco perché una chiacchierata con lui è decisamente più istruttiva del solito pistolotto dei moralisti a gettone. Alla soglia dei quarant'anni il chicken - in gruppo era soprannominato pollo per la spaventosa magrezza - fa il direttore commerciale del team danese Christina Watches e nei giorni scorsi era in Romagna per la Coppi e Bartali. Lo abbiamo incontrato a Gatteo, al seguito della squadra.
Rasmussen, impossibile non parlare di doping con lei. "Già. Alla fine ho preso quattro anni e quattro mesi di squalifica. Senza essere mai stato trovato positivo".
Però... "Guardi che il doping non l'ho inventato né io né Armstrong né Hamilton. Si tratta di una pratica che ha accompagnato lo sport da sempre. C'era anche nelle prime edizioni del Tour".
Inevitabile, allora? "Io posso parlare per i miei tempi: quando un giovane incontrava questo tipo di cultura, era ad un bivio. Doveva decidere se tornare a casa o andare avanti. Io volevo andare avanti".
Ed ha fatto quello che ha fatto. "Il doping è solo l'ultimo ingranaggio che gira".
Cosa vuol dire? "Quando, come me, ti fai 35mila chilometri l'anno in bici, arrivi a portarti il cuscino da casa per migliorare la qualità del sonno e dormire quei dieci minuti in più che potrebbero aiutarti nel recupero, ti poni perfino degli interrogativi su come risparmiare sul peso delle spillette che fermano il numero, allora vuoi fare tutto quello che c'è da fare per migliorare. Tutto. Doping compreso".
Manipolare il sangue non è esattamente come staccare una spilletta. "I miei valori da giovane, prima che conoscessi il doping, costituivano dei record per la Danimarca. E' tutto scritto, certificato dall'università".
Dopo aver messo le mani al motore che cilindrata aveva? "Oh, non voglio neanche saperlo! Mi pare che in allenamento nel 2005 facevo salite di 30' a quasi 1800 di Vam. Però, ripeto, gli asini non volano all'improvviso: le doti ce le devi avere di natura. Poi serve un sacrificio enorme...".
...con annessi e connessi. Il suo percorso agonistico tocca la vetta più alta nella tappa dell'Aubisque del Tour 2007 quando arriva primo da solo staccando Contador. "Gli ho fatto un favore a tenerlo a lungo con me. In pratica in salita stavo spingendo Leipheimer, avevo deciso che doveva chiudere terzo lui e non Evans, mi stava più simpatico".
A parità di condizioni era lei il più forte in quel Tour? "Se l'opinione pubblica pensa che il problema doping è stato risolto mandando a casa il numero uno a favore del numero due, del tre e così via, faccia pure...".
Lei, in pratica, è stato cacciato da Davide Cassani, il quale in diretta tv disse di averla vista in allenamento sul Garda quando il suo team, la Rabobank, sapeva che era in Messico. "Cassani ha agito in buona fede, non ce l'ho con lui. Piuttosto, in questa vicenda ad avermi amareggiato è stato il comportamento della mia squadra e della federazione danese".
Vive ancora sul lago di Garda? "Certo, gestisco un negozio di biciclette a Lazise. Anni fa mi trasferii da quelle parti per beneficiare del clima mite. Se volevo fare il ciclista professionista, non potevo vivere in Danimarca. Quando dico ‘fare tutto il possibile per emergere' mi riferisco anche a particolari come questo".
Rasmussen, lei è ancora molto magro. Quanto pesa? "Sono 61 chili per 1,76 di altezza. Ai bei tempi ero 58".
Pedala ancora? "Nel 2013 ho fatto 5mila chilometri, in salita ne stacco ancora tanti. Mi riferisco ai dilettanti. Invece con certi amatori, le assicuro, proprio non ce la faccio. Mi sono trovato sul percorso di una granfondo e ho notato che i primi andavano come palle di cannone".
Come giudica il suo passato? "Sono cosciente e sereno. Consapevole di quello che ho fatto. Ritengo di avere usato e non abusato e non ho fatto del male a nessuno. Nessuno d'altronde mi ha obbligato a prendere la strada del doping, è stata una mia scelta autonoma".
Ha conosciuto corridori che al bivio di cui ha parlato prima hanno invece scelto di tornare a casa? "No, nessuno".
E' questo che mi lascia sorpreso e sconcertato....difronte a queste parole inconfutabili da dove risulta un quadro chiarissimo ( incredibile il riferimento agli amatori a cui il presidente della federazione ci si sta dedicando con impegno) che non sta bene a chi crede ancora alla befana il risultato è: nessun commento!!!!!!!
Parla per te !!!!!!......
10 aprile 2014 13:54passion
.......perché al bivio "rasmussen" ci sono alcuni che sono tornati indietro, senza prendere la tua strada. Lasciando perdere i ciclopazzi (leggasi cicloamatori), non autorizziamo tanti giovani ragazzi, più o meno talentuosi, a credere che imbrogliare sia una scelta obbligata, altrimenti questo mondo non cambierà mai.
Polli volanti e "ciclotumori" che decollano
10 aprile 2014 14:54Bartoli64
Su Rasmussen c’è anche da dire che nel gruppo era soprannominato “Flying Chicken” (pollo volante), forse anche per certe sue fisime per risparmiare sul peso (tipo avere gli scarpini di mezza misura più corti), ragion per la quale non mi meraviglio troppo se la sua carriera sia finita com’è poi finita.
Inquietante il fatto di come lui stesso (sicuramente dotato di eccellenti valori fisiologici ed ancora in splendida forma), affermi di non riuscire proprio a staccare certi amatori.
Molto del “marcio” del ciclismo, nonostante i recenti provvedimenti, si annida proprio tra i “ciclotumori”, e la testimonianza di Rasmussen è solo una delle tante riprove.
Bartoli64
Mah
10 aprile 2014 15:25Ruggero
Sono probabilmente vecchio e ripetitivo, dei pagliacci delle gran fondo poco importa, quel che invece mi disturba per non dire altro, è che dei nostri eroi di quegli anni, nessuno ammette nulla e continuano tranquillamente a fare i galletti in televisione a dirigere squadre preparazioni e quant'altro.
Ecco questo è veramente fastidioso !!!
Come ho già detto più volte, mamma mia com'eravamo fortunati, gli stranieri si dopavano e perdevano noi eravamo puliti e vincevamo.......quasi tutto !!!
Post (aperto) a Ruggero
10 aprile 2014 16:06Bartoli64
Ruggero carissimo,
me perché continui a meravigliarti così?
Io credo che la parola “omertà” sia termine praticamente sconosciuto nei vocabolari di culture diverse da quella italica, e credo che anche tu converrai con me.
Dici che poco t’importa dei pagliacci delle GF ed hai anche le tue ragioni, ma il “pericolo sociale” (perché di pericolo sociale vero e proprio si tratta) derivante da chi pratica largamente il doping nel ns. sport (leggasi i “ciclotumori”) è fattore che un vero e competente appassionato - come te del resto - non dovrebbe sottacere.
Cordialmente.
Bartoli64
doping
10 aprile 2014 19:28siluro1946
Ricordatevi sempre che il ciclismo è al 6° posto, in percentuale al numero di controlli effettuati, di sportivi dopati. Per il bene del ciclismo, non bisogna dare spazio ai professionisti dell'antidoping, e a pentiti che appaiono solo per le loro confessioni senza aver mai combinato nulla, o poco, nella loro carriera
ciclistica. Questo signore, che raccontava menzogne, che credibilità può avere?
10 aprile 2014 20:33nano
Quattro anni e quattro mesi di squalifica, ma ha una squadra. Ma lui non correva in quella squadra il cui ds ha poi confessato che aveva vinto, anche un Tour, da dopato? E che in quella squadra vi era anche chi oggi gestisce i controlli fuori gara per conto dell'UCI?
Cioé il diavolo e l'acquasanta insieme: che personalità.
X Bartoli64
11 aprile 2014 10:00Ruggero
Hai perfettamente ragione, capirai però che per chi ama veramente il ciclismo, il vero dramma è constatare che in Lombardia attualmente sono tesserati comprensivi di fuori strada e quant'altro all'incirca 260 Juniores, questi sono numeri da fine del ciclismo, certo poi c'è il discorso delle granfondo, il mio "non me ne frega nulla" era chiaramente una provocazione, ma inanzitutto bisogna riportare un pò di genete a praticare il ciclismo agonistico e ripeto agonistico perchè di amatori come me è pieno, ma soprattutto far sparire dal NOSTRO mondo quelli scellerati che ci hanno portato a questo punto.
E invece bellamente sono in televisione, nelle ammiraglie sempre in bellavista con il loro sorrisetto da angioletti.
Ruggero...
11 aprile 2014 15:40Bartoli64
... ti quoto in pieno!
Pensa che nella mia regione 260 tesserati tra gli juniores se li sognano, però poi si gonfiano il petto con i tesseramenti tra gli amatori.
Hai perfettamente ragione nel dire che questi sono numeri da fine del ciclismo (e se è così in Lombardia figuriamoci altrove), ed una delle cause di questi problemi è proprio la “importanza” (politica soprattutto) che si dà al movimento amatoriale, al quale si destinano bei soldi che andrebbero invece destinati alle categorie agonistiche giovanili.
A te sembra giusto che la FCI ogni anno allestisca una “nazionale amatori” (le minuscole sono volute) per disputare i mondiali in Austria?
Migliaia e migliaia di euro spesi per cosa? Pensa che, almeno sino a qualche anno fa, l’80% dei componenti di questa nazionale era tutta gente infognata mani e piedi nel doping (come poi le successive inchieste hanno dimostrato); io stesso lo feci presente all’ex presidente Ceruti, ma la cosa scivolò tranquillamente nel dimenticatoio.
Vedi ora per qualcuno qual è il problema? E’ che Rasmussen (reo confesso) non è affidabile nella sua testimonianza, cioè a dire (nella classica concezione italiota) se si faceva i czi suoi e continuava a star zitto era meglio…
Bartoli64
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