SANSON. Quando la corsa passava "per forza" da Scomigo
STORIA | 02/02/2014 | 10:23 È stato dato ampio e dovuto rilievo, da parte degli organi d'informazione, alla scomparsa della figura di un grande imprenditore, innamorato dello sport e del ciclismo in particolare, quale è stato Teofilo Sanson.
Uomo franco e diretto, molto diretto, addirittura dirompente quando voleva raggiungere gli scopi che si prefiggeva. Un rullo compressore che esibiva con orgoglio, alle spalle della sua poltrona presidenziale, nel suo ufficio di Colognola ai Colli, una gigantografia che occupava quasi l'intera parete, che lo ritraeva, giovanissimo, di bianco vestito e indossando il cappello dei gelatai in uso allora, con il caratteristico furgoncino a pedali dei gelati con i lucenti coperchi a campana e i contenitori dei coni e delle cialde di varie misure, con il quale girava Torino.
Era ancora a Torino quando ha rilevato, quasi con un atto di fede e giocando un po' d'azzardo, la struttura della squadra ciclistica Carpano dal conte Turati che, con la caratteristica maglia bianco-nera a strisce (stile Juventus) era da quasi dieci anni al proscenio del ciclismo con corridori di rilievo, italiani e belgi in quasi ugual numero. Vincenzo Giacotto era il general manager con Ettore Milano alla direzione sportiva che, in seguito, fu assunta da Vendramino “Mino” Bariviera, già possente velocista e concittadino di Sanson. Questa la prima fase alla quale segue una seconda, dal 1976, che si identifica soprattutto con Francesco Moser nella squadra diretta da Valdemaro Bartolozzi, reduci, con altri, dall'esperienza Filotex, altro gruppo sportivo di lunga militanza e lustro nel professionismo. Nel 1978 il G.S. Sanson conquista la Coppa del Mondo a squadre.
Lasciato il ruolo di sponsor di squadre il vulcanico Teofilo Sanson non abbandona però il ciclismo e favorisce, anzi determina, l'effettuazione di nuove manifestazioni quali, ad esempio, il Trittico Veneto-G.P. Sanson che costituiva un probante banco di prova per il C.T. Alfredo Martini in prospettiva della formazione della squadra azzurra per la rassegna iridata. Un'iniziativa durata una quindicina d'anni.
La manifestazione si alternava fra la zona di Conegliano, nel cui comune Teofilo Sanson è nato nel 1927, e Verona, dove, nella vicina Colognola ai Colli aveva basato l'attività. Non solo questo però. In varie sedi di tappa, in diversi anni, sia con Vincenzo Torriani, sia con Carmine Castellano, i patron del Giro d'Italia, c'è stato lo “zampino”, anzi la “zampata” decisa, ovviamente, di Sanson. Un occhio particolare per Verona, giustamente, già a partire dalla prima metà degli anni 1970, con vari arrivi di tappa del Giro d'Italia e sede poi anche di due campionati del mondo dove il ruolo di Sanson – suggeritore, tessitore ma e soprattutto finalizzatore – è stato di primo rilievo.
A proposito di Conegliano ricordiamo che Sanson, ultimo di dodici fratelli, era nativo, precisamente, della frazione di Scomigo, a circa sei/sette chilometri dal capoluogo comunale, frazione posta su una collina, nota per la lavorazione della ceramica. E quando l'itinerario di qualche tappa della corsa rosa prevedeva il passaggio nella zona, più o meno prossimo a Scomigo, inevitabile era la veemente telefonata di Teofilo Sanson, dovunque si trovasse (allora non c'erano cellulari e e-mail...) che, con la sua particolare voce roca, sibilava, come saluto, a modo suo sicuramente cordiale..., “Animali, ancora una volta avete dimenticato Scomigo.....”.
Questo anche se la tappa era già ai limiti regolamentari del chilometraggio consentito e la deviazione d'itinerario, in tempi ristretti, comportava diverse problematiche. Per qualche giorno Vincenzo Torriani e Giovanni Michelotti (ai quali veniva sempre ricordata la “cambiale” Scomigo-Sanson in fase di progettazione dell'itinerario ma sempre allontanavano la “questione”) si negavano alle telefonate di Sanson che investiva e ricopriva di coloriti improperi l'interlocutore che gli capitava al telefono e prospettava al paziente cartografo Cesare Sangalli le sue soluzioni per il passaggio da Scomigo. Soluzioni con distanze, sovente, anzi quasi sempre, ben lontane dalla realtà, l'aritmetica violentata e assoggettata alla sua passione e “interessi” (virgolette d'obbligo) ciclistici. Un compromesso però, a soddisfazione di Sanson, e di tutti, si riusciva sempre a trovarlo. Una sorta di liturgia, una recita e un copione interpretato da protagonisti ai quali non facevano certamente difetto verve particolare, propensione alla contrattazione non puramente mercenaria o economica e gusto dello spettacolo e dell'interpretazione del personaggio. Personaggi veri, non artefatti e pure buoni attori. .E il passaggio da Scomigo appariva nella tabella di marcia, rifatta in fretta e furia, all'ultimo momento.
Scomigo è pure il luogo d'origine del corridore Pietro Zoppas, vincitore di una tappa del Giro d'Italia del 1964, da Feltre a Marina di Ravenna. Singolare è anche il fatto che Alberto Steffan, quasi coetaneo di Teofilo Sanson, co-fondatore della fabbrica di gelati “Cugini Steffan”, fosse anch'egli nativo di Scomigo. Steffan è un nome che contribuì largamente alla diffusione del ghiacciolo. Nella zona del milanese il ghiacciolo era definito e individuato anche come “steffanino”.
Un sostanzioso premio di traguardo in cima alla collina di Scomigo posto in palio da Sanson era la conclusione, praticamente costante, della ricorrente diatriba, l' “affaire Scomigo-Sanson”, comunque pronti tutti gli attori a inscenarla anche l'anno successivo.
Anche il Velo Club Forze Forze Sportive Romane di Franco Mealli aveva una stretta collaborazione con Teo Sanson per il quale il ciclismo non era semplicemente un interesse ma una vera e propria passione sempre tangibilmente dimostrata. Grande Teo.
La voce di Teo era quella del nonnetto del Far West. Non quello petulante, non quello ubriaco: lui era quello che non mollava mai, che sparava a sorpresa e con grande precisione. Ho seguito alcune corse in auto con Teo Sanson e con il suo granitico autista. Con Sanson ho viaggiato anche quando in ballo c'erano i "suoi" mondiali, che erano quelli trevigiani e quelli veronesi, per via della sua doppia anima: quella dell'origine e quella del successo industriale. Solo i pionieri del business americano e i nostri commendatori delll'elettrodomestico avevano tanta tenacia, tanta intuizione, tanta capaticà di misurare gli interlocutori. Un giorno, in azienda, scoprii che in ufficio aveva un computer sulla scrivania mega-galattica. <Teo, ma sai usare anche questo?>. <Ma situ mato? Serve per far scene coi 'mericani>. <Teo, ma ci cascano?>. <Ghe convien>. Ciao Teo, ti porti via anche il ricordo del Nordest vincente.
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