I velocisti, nel ciclismo, si sa, sono una categoria a parte e sovente coniugano e raccolgono, nella medesima persona, molteplici aspetti e sfaccettature, talvolta assai diversi e perfino contraddittori.
La premessa è per introdurre una piccola storia di un ex velocista che, a suo tempo, praticamente agli esordi della carriera professionistica, fu anche definito – con tanto di titolo a nove colonne su qualche giornale – il “Rik Van Looy italiano”. E, forse, con questo indizio qualcuno potrebbe avere già individuato il soggetto protagonista di questa che vuole essere solo una garbata storiella.
Si parla, nel caso del “Rik Van Looy italiano”, della seconda metà degli anni 1980 quando il “nostro”, reduce da una brillante carriera fra i dilettanti con importanti affermazioni, anche a livello internazionale, raccolte soprattutto in pista, si dedica con assiduità alla strada. Forse il titolo ricordato preconizzava una speranza più che riflettere una realtà.
Il “nostro” di questo ride ancora ma continua a conservare i ritagli dei giornali in materia, forse per rimirarsi con gli - allora - folti riccioli che, con il tempo, sono completamente svaniti.
Il suo curriculum di corridore professionista è illustrato da tappe vinte al Giro d'Italia, alla Vuelta, alla Tirreno-Adriatico. In totale sono dieci le vittorie su strada nella massima categoria e tre bronzi mondiali su pista con vari titoli tricolori per il “papa”, questo il soprannome che lo indicava nel gruppo, nei nove anni passati fra i professionisti. Il direttore Stagi l'ha definita “una buona e onesta carriera”. Uno degli ultimi milanesi in bicicletta per il giovanotto nato nel 1962, assiduo frequentatore del Vigorelli con giri e giri inanellati al rullo del mezzo condotto sovente da Renzo Zanazzi, da lui soprannominato “manettino kid” per la sua accentuata e frequente abitudine d'aprire il gas del mezzo per aumentare la velocità. Sembra che Giuseppe Saronni, suo grande amico, abbia seriamente considerato l'ipotesi dell'addio al ciclismo dopo avere constatato che, sovente, il “nostro” scollinava prima di lui.. Era anche uno specialista, un leader riconosciuto del “gruppetto” o della “rete” che dir si voglia, che cercava di salvare le gambe nei tapponi di montagna, in costante controllo del tempo massimo. Che soddisfazione prova ora, e già da qualche anno, quando anche in salita è in testa alla corsa, in auto, ovviamente, a motivo della sua professione.
Il giochetto è ora troppo scoperto e riveliamo il nome del “nostro”: Stefano Allocchio che, sceso di bicicletta, dopo esperienze di opinionista Rai al fianco di Adriano De Zan e Giorgio Martino, è rimasto nel ciclismo nell'ambito di RCS Sport ed è ora il primo collaboratore del direttore del Giro d'Italia, Mauro Vegni.
Il “nostro”, però, non contento della definizione di “Rik Van Looy italiano”, è stato colto in una, a dir poco impegnativa, dichiarazione – in video e voce - che passa sovente sul canale televisivo Bike Channel in una registrazione del 2009 in occasione dei cento anni della corsa rosa.
Alla domanda postagli di quale sia il corridore attuale che più gli assomigli e nel quale si riconosca, il “nostro”, senza esitazioni, ha risposto “Mark Cavendish”. Nientepopodimenoche...
Allocchio argomenta, a sua difesa, che l'intenzione era solo quella di paragonare il comune percorso compiuto, da pistard, soprattutto, a stradista. Con il piglio diretto, sorridente, da compagnone che sempre l'accompagna. Pure i suoi patron delle squadre dove ha militato nei dilettanti, Franco Marton per la FGM di Varedo e Alcide Cerato della Baggio S. Siro, al proposito, sollevano qualche dubbio...
Noi gli crediamo ma pensiamo pure che lo sprinter dell'isola di Man abbia tutto il diritto di sporgere querela con ampia facoltà di prova. La vincerebbe sicuramente, a man bassa. Lo potrebbe frenare solo il suo direttore sportivo, Davide Bramati, altro collega-corridore e molto amico di Stefano Allocchio, divisi solo da cieca e grande passione calcistica: per l'Inter Allocchio (dove dice d'avere giocato nelle giovanili prima di salire in bici spinto anche dalla passione di papà Marco) mentre il Brama è juventino doc.
Il “nostro” è comunque sempre pronto a difendersi dagli attacchi in materia, anche feroci, che, inevitabilmente, lo vedranno bersaglio di colleghi e amici.
giuseppe figini