Botta & risposta con Andrea Piechele

PROFESSIONISTI | 13/10/2013 | 08:30
Andrea Piechele, trentino di 25 anni, professionista dal 2010, un anno alla Carmiooro e uno alla Colnago CSF, poi sparito nel nul­la. Che fine avevi fatto?
«Sono stato impegnato ad aggiustare le mie ginocchia, in entrambe il femore sfregava sulla rotula consumando la cartilagine. Un dolore che non auguro a nessuno e due anni trascorsi tra ortopedici e fisioterapisti fino alla decisione di operarmi quest’inverno. A seguire tanta riabilitazione finchè a maggio finalmente sono po­tuto ritornare in bici e, conoscendo Maurizio Fondriest che è del mio paese, ho avuto l’occasione di rientrare in gruppo con la Flaminia».
Risolto tutto a livello fisico?
«Affermare che è tutto a posto è un parolone perché dopo due an­ni di stop e un’operazione co­me quella a cui mi sono sottoposto ce ne vuole di tempo per ri­tornare ad essere competitivo. Ho deciso di andare sotto i ferri perché avvertivo male anche sen­za sforzare le gambe, certi giorni non riuscivo neanche a camminare... Ora va decisamente me­glio e riesco ad allenarmi come si deve».
Durante lo stop?
«Se avessi trovato lavoro sarei andato a lavorare, ma non l’ho trovato (sorride, ndr). Non ho mai smesso di sperare di tornare a correre, ma i tempi sono stati più lunghi del previsto. Dove­vo rientrare con i Reverberi ma nel contratto avevo una clausola per cui avrei dovuto es­sere pronto a correre da inizio anno, invece a causa dell’operazione non ho po­tuto rientrare a tutti gli effetti fi­no a giugno».
Perché hai deciso di non appendere la bici al chiodo?
«Perché ho sempre conquistato piazzamenti importanti fin da ra­gazzino anche se le mie ginocchia è da anni che non mi danno pace; già da dilettante non ho re­so come avrei potuto se fossi stato perfettamente in salute. Mi dispiaceva smettere senza aver provato qualche stagione senza intoppi».
Al debutto in maglia Flaminia hai raccolto subito piazzamenti incoraggianti al Giro del Por­togallo.
«Sì, ma non so se perché la concorrenza era bassa o ero io ad andar forte. La mia condizione non è per niente buona, i risultati mi hanno dato morale ma devo lavorare ancora mol­to e testarmi nelle cor­se italiane più di li­vello per capire se posso tenere il ritmo dei mi­gliori. Que­st’anno non raggiungerò il top della for­ma, dopo due an­ni fermo dovrò macinare tanti chi­­lometri pri­ma di ritrovare il colpo di pedale migliore, ma l’anno prossimo spero di tornare a far vedere quanto valgo».
Torniamo agli inizi.
«La prima corsa da G1. Cer­ta­mente in Tren­ti­no, non ricordo il paesino preciso, l’ho vinta. Da piccolo ho provato qualsiasi sport: tanta corsa, nuo­to e tennis, anche ping pong e calcio. Ma come il ciclismo, nulla mi ha mai appassionato».
Ricordi la tua prima bici?
«La primissima no perché mi è stata regalata quando avevo due o tre anni. La prima da corsa sì, a cinque an­ni, era una Fon­driest blu. Sarà stata di de­cima mano e la condividevo con mio fratello, Ni­cola, un an­no maggiore».
Abiti sempre a Cles?
«Sì, dopo un an­no senza stipendio non potevo andar lontano (sorride, ndr). Vivo ancora in casa con mamma Maria, che tutti chiamano Ame­lia, papà Pierino e mio fratello che ha corso fino alla categoria dilettanti».
Che sfortuna, per un velocista, abitare in montagna...
«No, anzi. Va benissimo così: le salite in gara non le digerisco ma in allenamento non mi dispiacciono. D’inverno, per di più in Val di Non, posso dilettarmi nello sci: scialpinismo, sci discesa, sci di fondo. Sempre con at­tenzione. Meglio i giorni in cui non c’è gente. E quando posso, con amici gli vado in canoa, sul Lago di Cles, a pescare trote».
Altri interessi?
«Mi diverto a cucinare, il guaio è che poi mangio. Il mio menù ideale? Lasagne o pizzoccheri di primo: tutta roba leggera, ideale per un corridore, vero? Trote alla brace di secondo».
La tua specialità ai fornelli?
«I dolci: sacher e strudel».
Torniamo in sella. Nel mirino ora che cos’hai?
«Non conosco ancora il ca­lendario che mi aspetta nei dettagli, quindi non posso dirvi obiettivi precisi. Ad ogni modo l’intenzione è di portare a casa più risultati possibili per trovare una squadra per l’an­no prossimo. Anche se non sono al cento per cento di condizione, voglio conquistarmi una chance per dire la mia».
I tuoi sogni per il futuro?
«I sogni ormai li ho rimessi nel cassetto... (scherza, ndr). In bici darò del mio meglio e prenderò quello che viene, sempre con il sorriso sulle labbra».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di settembre
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