CICLOCROSS | 01/02/2013 | 11:59 Ormai non ha bisogno di presentazioni. Marco Aurelio Fontana è sempre più il simbolo del fuoristrada italiano e, a suon di risultati e gag alla Valentino Rossi, si sta facendo conoscere da tutti gli appassionati di sport. Dopo la celebrità ricevuta dalla medaglia di bronzo conquistata, senza sella, alle Olimpiadi di Londra il brianzolo, ormai piacentino d’adozione, ha iniziato il 2013 riconfermandosi campione italiano di ciclocross e tagliando il traguardo con la maschera e lo scudo di Capitan America. «A Vittorio Veneto (TV) volevamo annunciare che avrei preso parte ai mondiali. L’idea di pensare a qualcosa di simpatico da realizzare in caso di vittoria è venuta in mente a mio fratello Damiano, Capitan America a me. Mi sembrava l’immagine più immediata per far capire che sarei andato a Louisville. Cosa mi ha spinto a non saltare l’appuntamento iridato? La voglia di correre, di vincere, di non lasciarmi scappare questa occasione. Competere contro i superfavoriti del nord sarà diverso dall’altra parte dell’Oceano. Sono sempre più impegnato tra test, shooting, telefonate, mail, interviste, premiazioni, cene, etc. ma io sono nato per correre ed è questo che voglio fare. Mi sono detto: se ho tutti questi impegni davvero devo “tagliare” il mondiale di cross? Non esiste, ridurrò le cene, le premiazioni, le interviste, le telefonate, ma non il mondiale. Quello è il mio campo da gioco e io ho voglia di giocare. E poi crediamo di poter far bene, eccome». A capitanare la “squadra” di Marco, c’è la moglie Elisabetta. Ex ciclista, plurititolata nel ciclocross, oggi psicologa in una clinica riabilitativa e fondatrice del centro Your Balance rivolto alla preparazione psico-fisica dello sportivo. In tutte le corse, con stivali da pioggia e giacca a vento, è al box per passare la bici a Marco. «Ci sono tante persone che vorrebbero darmi una mano, ma lei è mia moglie e di ciclismo ne sa. Le piace darmi assistenza in corsa e sa come funzionano le gare perchè le ha provate in prima persona. Essere nel vivo della corsa le da tranquillità e saperla lì la da a me perchè nessun altro mi sa leggere come lei. Potrebbe starsene al caldo, a bersi il cappuccio al bar, invece affronta con me la “battaglia“. D’altronde ormai siamo una famiglia e anche in capo al mondo vogliamo andarci insieme. Pensate che dopo il Campionato Italiano le ho detto: “Ora vinco il mondiale”. Lei non ha battuto ciglio, ma ha fatto i salti mortali per comprare i biglietti aerei ed essere con me il 3 febbraio». Nella prova di Coppa del Mondo a Roma, all’Ippodromo delle Capannelle, Fontana ha riportato l’Italia su un podio che le mancava da sette anni, finendo dietro ai fenomeni belgi Kevin Pauwels e Niels Albert. «Sono felice come se avessi vinto, oggi dall’alto mi è arrivata una marcia in più. Volevo onorare con una gran gara due colleghi e amici recentemente scomparsi a causa di due maledetti incidenti stradali. Ragazzi per bene, educati, forti, campioni nella vita oltre che nello sport, troppo giovani per lasciarci. Colgo l’occasione per ricordare a me stesso e ai miei colleghi di fare attenzione in strada, di usare sempre il casco, ma soprattutto per sensibilizzare gli automobilisti sulla pericolosità che le quattro ruote possono costituire per un ciclista, tanto forte quanto fragile» ha dichiarato dopo aver conquistato il prestigioso risultato, ricordando il biker basco Inaki Lejarreta e il sudafricano Burry Stander. Parole mai banali e idee chiare, Marco è un buon comunicatore e si prende sempre la responsabilità di ciò che dice. Come sta il nostro ciclocross? «Ho rivisto in tv il Campionato Italiano e devo dire che mi è dispiaciuto constatare quanti pochi eravamo in corsa. Una partecipazione maggiore alle gare alzerebbe il livello del movimento, conferirebbe più prestigio alle corse e di conseguenza più visibilità agli sponsor. Agli atleti non farebbe altro che bene, mi rivolgo soprattutto ai ragazzi che fanno XC: la mtb e il cross sono due discipline attinenti e, basta vedere cosa accade in altri paesi come la Svizzera, per capire che un’attività invernale adeguata può essere proficua per gli appuntamenti estivi. A parte questa considerazione, in Italia abbiamo più di un ragazzo interessante. Gioele Bertolini è uno di questi, anzi è quello che a livello internazionale sta dimostrando di reggere meglio il confronto con gli avversari più titolati. Ha testa, gambe e tattica. Davanti a sè ha una carriera lunga per dimostrare quanto vale, senza fretta sono convinto abbia le carte in regola per arrivare in alto». E ora gli Stases. «Andiamo in America per centrare il bersaglio grosso, questa è sempre la mia filosofia! Tanto anche se arrivo settimo ci sarà chi mi dirà bravo e chi invece mi darà del pirla, convinto che sarebbe stato meglio restare a casa. E poi? Appesa la bici da cross, sarà già tempo di lavorare in sella alla mtb. L’obiettivo, neanche a dirlo è vincere il prima possibile una prova di Coppa del Mondo. Punto forte alle prime tre tappe tra maggio e giugno, in particolare a quella in Repubblica Ceca e a quella in Val di Sole».
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