DUE DOMANDE. CORSA ALLA PRESIDENZA FEDERALE. 1° parte

| 08/01/2013 | 12:52
Sabato prossimo a Levico Terme scopriremo il nuovo numero uno della Federazione Ciclistica Italiana. Per farveli conoscere meglio, abbiamo intervistato i sei candidati alla presidenza della FCI: Salvatore Bianco, Davide D'Alto, Rocco Marchegiano, Claudio Santi, Gianni Sommariva e il presidente uscente Renato Di Rocco. Da oggi vi proponiamo le loro risposte alle nostre "due domande" che ci accompagneranno alle elezioni del 12 gennaio.

1. Si presenti: chi è, cosa fa e da dove viene?

Salvatore Bianco. «Sono un geometra in pensione, ho un passato da imprenditore edile e sono nella FCI da quando sono nato. Ho gareggiato da giovanissimo, esordiente, allievo, junior e dilettante. La passione per la bici mi è stata trasmessa da mio padre, che era un artigiano della bicicletta. A 13 anni ho avuto il piacere di trascorrere un'estate a Milano nella bottega di Cino Cinelli, conoscendo come in un sogno ad occhi aperti Coppi e i grandi campioni dell'epoca.
Finite le vacanze sono tornato a Lecce dove tutt'oggi risiedo e diplomatomi, ho iniziato la mia professione di geometra. Negli anni ho maturato una grande esperienza politica rimanendo per vent'anni alla presidenza del Consorzio delle Marine Leccesi e divenendo assessore comunale per le marine, lo sport, il tempo libero, la protezione civile, il decentramento e i problemi della casa, incarichi che ho rivestito per nove anni presso il Comune di Lecce. Ho speso molte delle mie risorse nell'organizzazione di gare di ciclismo di ogni livello e promuovendo questo fantastico sport soprattutto in Puglia. Nel 1981 sono stato eletto con tre voti su cinque presidente del Comitato Provinciale di Lecce, in quattro anni ho portato il numero delle società affiliate da 5 ad oltre 100: un successo che mi consentì di diventare presidente pugliese nel 1985, incarico che ho rivestito fino a quest'anno. Sono iperattivo, abituato a stare in trincea, a battermi per quello in cui credo, per questo mi ripresento a questa sfida dopo le esperienze, per usare un eufemismo poco chiare, di Saint Vincent, Firenze e Imola».

Davide D'Alto. «Sono nato il 19 maggio 1959 e mi occupo professionalmente di editoria. In passato mi sono occupato di pubblicità, di formazione del personale e di marketing. Oggi dirigo una casa editrice. In passato ho scritto e curato libri in particolare sullo spettacolo e sul cinema (mai sul ciclismo...). Sono laureato in Lettere e Filosofia. Sono iscritto come autore alla Siae da circa vent'anni. Ciclisticamente sono nato nella S.C. Zanazzi di Milano e ho corso fino all'età di 25 anni. Poi ho fatto parte dell'organizzazione di molte manifestazioni internazionali su strada. Anche se non ho mai corso in Mtb ho organizzato dal 1987 molte prove (campionati italiani, gare internazionali relative a questo settore, sia nel Cross Country - che allora non esisteva- sia nella Discesa, che rimane una delle mie discipline preferite, perché mi ricorda l'esercizio ciclistico che mi ha divertito di più, le prove dietro motori). Il mio primo incarico nella FCI data 1992: componente della commissione regionale mtb (presidente Alcide Cerato). Dal 1993 al 1997 sono stato consigliere regionale lombardo (presidente Francesco Bernardelli) con la delega (primo referente) al fuoristrada. Nel 1997 sono entrato in consiglio federale (presidente Giancarlo Ceruti). Rieletto nel 2001 e nel 2005 come vicepresidente vicario mi sono occupato prevalentemente di fuoristrada ma ovviamente non solo di quello. Nel 2009 non sono stato riconfermato. Sono consigliere del Pedale Pavese. Vengo da Milano, non sono sposato e non ho figli».

Renato Di Rocco. «Sono stato confermato quattro anni fa Presidente della Federazione Ciclistica, dopo il primo mandato, con il 71% dei voti. Praticamente sono nato nel ciclismo. All’officina di mio padre, specializzata nella ricerca e nello sviluppo delle bici per le nazionali minori, venivano spesso campioni, dirigenti e organizzatori. Dopo aver frequentato il Centro Coni del Velodromo Olimpico ho svolto la mia prima esperienza organizzativa a fianco di Franco Mealli. Diplomato Maestro dello Sport, sono entrato nell’organico del Coni diventando dirigente superiore nell’84, Direttore generale dell'Area Direzionale Sviluppo Società Sportive e Rapporti con Regioni ed Aree Metropolitane nel 2001, Direttore generale dell'Unità Territorio e Promozione dello Sport nel 2003, Segretario generale della Fidal dal ’99 al 2001. Nell’ambito ciclistico sono stato Segretario generale del settore professionistico dal ’76 all’82 e della Fci dall’83 al ’97. Nell’85 entrai nel direttivo della FICP, allora Federazione Internazionale del Ciclismo Professionistico e nell’89 nel direttivo dell’UCI. Attualmente sono vice presidente dell’UCI (dal 2009) e dell’UEC (dal 2008), membro delle Giunte Nazionali del Coni e del CIP. Nel 2006 sono stato insignito della Stella d’Oro al Merito Sportivo del CONI. Nel marzo del 2012 mi sono laureato con 110 e lode in Scienze Motorie all’Università Foro Italico di Roma discutendo la tesi "L'indagine conoscitiva sulla tutela sanitaria del ciclismo"».

Rocco Marchegiano. «Fin da piccolo nutro una grande passione per il ciclismo. In questo ambito nel corso degli anni ho svolto l'attività di direttore sportivo e negli ultimi decenni ho ricoperto il ruolo di dirigente regionale ottenendo prima l'incarico di vice presidente e attualmente di presidente del comitato piemontese. Sono stato responsabile del settore pista della Federazione Ciclistica Italiana. Nell'ultimo quadriennio ho avuto l'opportunità di partecipare come rappresentante italiano alle assemblee dell'Unione Ciclistica Internazionale».

Claudio Santi. «Sono una persona normale: nella vita privata faccio il consulente di imprese, nella vita sportiva l'organizzatore. Ho svolto per conto della FCI gli incarichi di responsabile del sud, direttore del settore professionistico e capo delegazione nelle trasferte di Lisbona, Zolder, Hamilton, Verona. Ho partecipato inoltre come dirigente alla spedizione azzurra alle Olimpiadi di Atene. In giovane età ho praticato il ciclismo con buoni risultati nelle categorie giovanili. Fra i dilettanti, militando nella Giacobazzi, ho vinto diverse internazionali. Poi fra i professionisti ho incontrato un mondo fatto di medicinali eccessivi e stipendi non pagati. Ho smesso subito, se dovessi venire eletto, mi occuperei dopo quasi trent'anni degli stessi problemi».

Gianni Sommariva.
«Sono bergamasco e nel ciclismo da sempre. Ho staccato la mia prima tessera da direttore sportivo nel 1963, poi il mio impegno si è concentrato soprattutto nel ruolo di organizzatore, in particolare della Settimana Lombarda. Sono stato vicepresidente federale nell’ultimo quadriennio. Nel 2013 festeggio i miei primi 50 anni nel ciclismo».

2. Perché le società dovrebbero votarla?
 
Salvatore Bianco.
«Mi ripresento alla sfida elettorale perché lo sport che amo è in caduta libera, basti pensare al numero sempre più basso di gare organizzate a livello nazionale e internazionale. Il ciclismo attualmente vive una totale assenza di democrazia, nell'ultima assemblea di Bologna tutti hanno capito che Di Rocco sta cercando di instaurare un'oligarchia e che ha promosso veti che lasciano sconcertati. Il suo modo di fare ha determinato la reazione di molti delegati. Senza ombra di presunzione posso dire di aver fatto la storia del ciclismo degli ultimi vent'anni, se prima eravamo abituati ad assemblee di dormienti che applaudivano e basta, personalmente ho sempre contestato ciò che non andava. Do fastidio al sistema, per questo sono stato colpito duramente anche recentemente con il commissariamento della regione Puglia per delle sciocchezze, episodio che per Di Rocco è diventato un boomerang perché questa sua prepotenza ha fatto sì che scendessero in campo altri candidati rendendogli molto complicato superare la soglia di voti indispensabile per un terzo mandato. Dovrei essere eletto perché partecipo alle assemblee da protagonista e porto le mie conoscenze che arrivano dalla base, dal cuore del mondo delle due ruote. Di Rocco ormai vola così alto che non sa di cosa ha bisogno il vero ciclismo, anzi ormai non vuole nemmeno sentirne parlare».

Davide D'Alto
. «Per come sono strutturate oggi le federazioni sportive per poter realmente incidere sull'attività occorre avere un proprio programma, una propria idea di ciclismo e portarli avanti senza compromessi e sostenuti dalle persone giuste. E bisogna essere il presidente. La mia idea di ciclismo è ancora tutta da realizzare. Sono stato il primo a parlare in senso moderno di connessione fra le varie specialità ma pochi capivano il discorso anni fa. Vorrei provare a fare del mio meglio per ricollocare il ciclismo nel posto dove merita, sburocratizzare la federazione, renderla un soggetto agile, moderno e di servizio. Sono per la squadra ma non a parole. Se nel fuoristrada ho creato, pur con tutti i limiti, un modello vincente (che vince non a caso ancora con tutti i tecnici e le persone volute da me) posso fare lo stesso della federazione. Sono tra i pochissimi a conoscere tutto il ciclismo, dalla strada al ciclocross, dal bmx alla pista».

Renato Di Rocco
. «Perché penso di aver onorato gli impegni che assunsi quando avanzai la mia prima candidatura. Vale a dire riportare coesione e fiducia in un ambiente lacerato e diviso da continui contrasti, risanare un deficit che aveva portato la federazione a rischio di commissariamento, rilanciare il ciclismo giovanile dopo anni di declino che sembrava inarrestabile, garantire l’assistenza, la tutela della salute e la sicurezza, prevenire il doping, riaffermare i valori dell’appartenenza e della maglia azzurra, restituire credibilità al ciclismo italiano. Un lavoro intenso che ha coinvolto tutte le componenti federali e avviato una svolta culturale che deve essere consolidata e portata avanti evitando il rischio di involuzioni e di ritorni al passato tutt’altro che scongiurato».

Rocco Marchegiano.
«Auspico in particolare che i delegati delle società mi votino perché la mia attività si è sempre rivolta alla base e agli atleti. Questo mio modo di operare è riconosciuto in Piemonte con ampio consenso».

Claudio Santi
. «Perché non prometto loro nulla in cambio. Non partecipo a riunioni di scambi commerciali e non sportivi. Per la loro volontà di ricostruire il ciclismo insieme con una Federazione rappresentativa e non gestionale. Ricostruire la piramide dalle fondamenta e non dalla punta».

Gianni Sommariva.
«Perché rappresento un ciclismo diverso da quello di chi è stato al potere negli ultimi anni. Non condanno il presidente uscente, chi ha guidato il ciclismo negli ultimi anni non ha sbagliato in toto ma secondo me non ha fatto il meglio possibile, si può fare di più. Non esistono solo il Giro d'Italia, il Tour de France, le Classiche… Bisogna guardare alle 3.500 società del nostro territorio e ai 15.000 giovanissimi che abbiamo, questo è il vero ciclismo».

1a puntata - segue

a cura di Giulia De Maio
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