FERRARI. Prof Banfi: «Io non ho bisogno di Ferrari»

| 24/10/2012 | 12:27
È stato chiamato direttamente in causa da Michele Ferrari, nel l'ebook pubblicato dal mensile CyclingPro. «Ho partecipato come consulente esterno assieme all'avvocato Rocco Taminelli e al perito di parte, professor Giuseppe Banfi, alla difesa di Pellizotti». Valerio Piccioni, collega de «La Gazzetta dello Sport», si pone un interrogativo più che pertinente. Si chiede Piccioni: «È mai possibile che un "inibito” dal sistema sportivo italiano possa essere nominato consulente da un collegio di difesa di cui fa parte uno scienziato come Banfi, peraltro consulente dei progetti di tutela della salute della Liquigas-Cannondale?».

Perc capirne di più, per provarci almeno, abbiamo contattato il professor Banfi, esperto di biologia ed ematologia dello sport, noché ordinario all'Università Statale di Milano.

Professore, corrisponde al vero che  lei si sia avvalso della consulenza “ombra” di Michele Ferrari?
«Io non ho mai conosciuto né incontrato il dottor Michele Ferrari che sostiene di aver fatto una consulenza esterna nel caso di Pellizotti, anche perché  quando io faccio le mie consulenze - e ne ho fatte diverse per diversi atleti - mi avvalgo solo e soltanto della documentazione che mi propongono gli avvocati e gli stessi atleti. In pratica io lavoro in assoluta autonomia e la mia esperienza e la mia professionalità mi consentono di scrivere consulenze che siano assolutamente professionali e assolutamente indipendenti. Non ho certo bisogno di suggerimenti da parte di nessuno, tantomeno da questa persona».

Si è dato una spiegazione del perché Michele Ferrari abbia detto queste cose?
«Fatico a darmi una spiegazione. Ed è la cosa che più mi imbarazza e angoscia. Io non ho mai avuto a che fare con questa persona e ora mi ritrovo a dovermi giustificare. Nel caso specifico di Pellizotti, io ho fatto la consulenza per la difesa, mentre il consulente per l'accusa era il professor D'Onofro, e poi il professor Isacchi ha steso per conto del tribunale antidoping del Coni, la consulenza finale. Come lei si ricorda il TNA decise per l'innocenza di Pellizotti e successivamente l'Uci impugnò la sentenza e si andò al TAS. In quel momento io proposi altri due consulenze - in questo caso in lingua straniera -. Dall'altra parte, come  consulenti dell'Uci, c'erano D'Onofrio e altri».

Lei per questa consulenza fu contattato da chi?
«Io fui contattato direttamente dall'avvocato Taminelli, con il quale avevo già lavorato in precedenza per il caso Gusev. Facemmo una conferenza stampa a Milano il 4 maggio (nella foto, il professor Banfi e il primo da sinistra, ndr),  poco prima del via del Giro d'Italia e io fu contattato direttamente dai legali di Pellizotti, che erano appunto Rocco Taminelli e l'avvocato Cristina Lancellotti».

Lei ha anche collaborato con la Liquigas?
«Certo che si. Sono stato contattato dal responsabile sanitario Roberto Corsetti, con il quale ho lavorato benissimo, svolgendo lavori di pura ricerca scientifica molto importanti, che sono stati anche pubblicati da importanti riviste scientifiche mondiali. Ma terrei a precisare che non sono consulente della Liquigas, ma faccio parte del staff medico, visto che ho collaborato con il dottor Corsetti. Durante il Giro d'Italia del 2011 e 2012, abbiamo svolto importanti studi sul metabiolismo energetico, cardiaco e la valutazione dell'ematologia, proprio partendo dall'esperienza di Pellizotti. Volevamo capire meglio certi comportantementi durante una corsa di tre settimane».

Lei ha sempre avuto rapporti con l'avvocato Taminelli o anche con l'avvocato Lancellotti?
«Anche con l'avvocato Lancellotti».

Con il dottor Corsetti solo per i vostri studi scientifici al Giro d'Italia?
«Corsetti l'ho incontrato anche al Tas, quando è venuto come referente medico della Liquigas, perché persona informata dei fatti».

Lei non pensa che l'equivoco possa sorgere perché l'avvocato Cristina Lancellotti è moglie di Raimondo Scimone, procuratore sportivo, che è chiamato direttamente in causa nella vincenda Armstrong?
«È probabile».

Lei non ha mai avuto a che fare con Raimondo Scimone?
«Anche lui l'ho personalmente conosciuto solo nel caso della seduta del Tas, per la questione che vedeva implicato  Gusev. Con Scimone poi ci siamo sentiti qualche volta al telefono, ma in maniera molto informale. Penso che questo insieme di relazioni, però, abbiano condotto gli inquirenti a pensare che questa rete sia tutta una cosa sola, ma non è così. E quello che più non comprendo è quello che sostiene  Michele Ferrari: io con lui non ci ho mai avuto niente a che fare.  Lo ripeto: non posso capire come possa dire che lui era un consulente esterno, quando io sono solito fare consulenze in assoluta autonomia e senza l'aiuto di nessuno».






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