INTERVISTA. Rogers rinnova con Sky e guarda al Giro

| 20/10/2012 | 10:04
13 stagioni tra i professionisti non sono certo una bazzecola, soprattutto se questo ciclista – nel caso specifico parliamo di Michael “Mick” Rogers – li ha vissuti sempre da protagonista, almeno quando non è stato messo KO da infortuni o malattie varie. 33 anni a dicembre, australiano di nascita e per molti anni residente a Gorla Minore (Varese) - prima di trasferirsi dal 2012 a Mendrisio in Svizzera con la splendida famigliola composta dalla graziosa moglie Alessia e dalle figliolette Matilde, Sofia ed Emily – Rogers ha totalizzato dal 2000 ad oggi 20 vittorie tra i pro, inclusi tre campionati mondiali della cronometro individuale, i giri a tappe del Canada/Beauce, Belgio, Germania, California, Andalusia e, quest’anno, della Baviera, oltre al Tour Down Under e alla Route du Sud in Francia. Incidenti inopportuni come la caduta nell’ottava tappa del Tour de France 2007 mentre stava veleggiando verso la conquista della maglia gialla, o malattie varie hanno penalizzato parecchio nel corso degli anni i risultati di questo ragazzone estroverso, ottimo passista che si difende bene anche in salita nonostante la ragguardevole stazza atletica (1 metro e 86 di altezza per 74 chili). Nel team Sky Rogers sembra aver finalmente trovato la giusta dimensione e al Tour 2012 ha contribuito in maniera decisiva al trionfo finale di Gary Wiggins, pilotando l’inglese in pianura e in salita mentre l’altro “Sky man” Froome sembrava invece pensare principalmente a sé stesso. Lo abbiamo intervistato dopo il rinnovo, siglato per altri due anni, del contratto con il team Sky che probabilmente presuppone la partecipazione del campione australiano al Giro d’Italia, in quella nazione che è ormai la sua seconda patria.
«Sì, mi piacerebbe tornare al Giro d’Italia dopo il 7° posto ottenuto nel 2009. Trovo il tracciato del 2013 adatto alle mie caratteristiche e a quelle di Wiggins, con quella crono lunga e delle salite non impossibili. Inoltre maggio è sempre stato il mio mese migliore».

Quindi ritieni che Wiggins non correrà il Tour e che privilegierà il Giro nel 2013?
«Gary è un tipo che si pone sempre nuovi obiettivi e il Tour lo ha già vinto. Quindi il Giro e in subordine la Vuelta lo attirano maggiormente rispetto alla Grande Boucle. Lui cerca sempre nuove sfide, ormai credo di conoscerlo bene».

Come valuti il tuo 2012?
«Lo metterei tra le mie tre migliori annate di sempre. Ho vinto tre gare, ho fatto bene al Tour nonostante la brutta caduta che mi ha penalizzato nelle prime tappe, in salita sono andato forte come mai in passato e a fine stagione sono riuscito a rientrare tra i primi 20 del ranking mondiale. Sono molto soddisfatto ma è un peccato che abbia dovuto interrompere l’attività a metà settembre, a causa dell’operazione alle tonsille che si è resa necessaria».

Il Team Sky 2012 è risultata la squadra plurivittoriosa nel mondo, con tanti, forse troppi leader. Un bene o un male?
«Avere molti atleti che possono vincere è sempre stato l’imperativo dei nostri tecnici e l’atmosfera in squadra è idilliaca. E’un peccato avere perso Cavendish, ma il team Sky è costruito per le classifiche delle gare a tappe e Mark ha ormai capito questa situazione».

Quanti anni ancora vorresti correre tra i pro e con quali obiettivi?
«Mi sono prefisso di gareggiare altri quattro anni e il mio sogno è di chiudere tra i primi 5 di un grande giro a tappe. Tra le gare in linea mi piace il Giro di Lombardia ma quando ho corso il Tour sono giunto scarico a questo appuntamento. Nel 2013, se farò il Giro, le cose potrebbero cambiare».

2013 anno dei mondiali in Toscana, una regione che per te ha significato parecchio…
«E’ così, vi arrivai nel 1997 da Juniores e a Quarrata e dintorni sono rimasto anche da dilettante, riuscendo a capire molto del ciclismo europeo. Vorrei svolgere una preparazione mirata per la crono individuale e anche per la cronosquadre. Conquistare un’altra maglia iridata tra i tanti tifosi toscani che ancora mi seguono sarebbe memorabile e bellissimo».

Prima americani, poi australiani e ora inglesi: come mai il ciclismo anglosassone è così di moda?
«Forse perché dalle nostre parti si sceglie il ciclismo per amore e in subordine, se arrivano i risultati, per denaro. In Europa e in Italia spesso accade il contrario. Inoltre certe nazioni come l’Italia hanno affossato completamente la pista, la vera scuola del ciclismo. Vedere il solo Elia Viviani partecipare alle Olimpiadi di Londra è stato desolante…»

Stefano Fiori
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