BELLARIA. «Io, senza Giro dopo 38 presenze consecutive»
| 21/04/2012 | 09:15 Dopo 38 Giro d’Italia consecutivi in sella alla sua moto, prezioso punto di riferimento per radiocorsa, Renzo Bellaria è costretto a rimanere al palo. Amico della prima ora di tuttoBICI e tuttobiciweb, l’abbiamo sentito per un saluto e ci ha detto, con un pizzico di dispiacere, che quest’anno al Giro non ci sarà: «Un mese fa ho avvertito un piccolo fastidio, mi hanno diagnosticato un infarto. Ho già ripreso a lavorare, ma per il ciclismo devo aspettare qualche mese ancora, riprenderò dopo il Giro».
LA STORIA. Nato a Castano Primo il 10 maggio 1946, un passato da buon corridore dilettante (correva con Davide Boifava, Marcello Bergamo, Miro Panizza, Alberto Della Torre), nelle categorie giovanili ha raccolto qualcosa come sessanta vittorie. Quattro anni con la maglia del Pedale Castanese, poi con la Vallese San Nicolao di Biella, di nuovo alla Castanese, prima di passare alla Telewat di Milano, la Bustese, ancora il Pedale e infine la Triplex di Biella. Siamo al 1968, e il giovane Renzo Bellaria ha già in mano un precontratto con la German Vox Vega quando viene chiamato al servizio di leva. Parte per il militare e addio ciclismo. Un anno dopo è fuori dal giro, ma Renzo Bellaria impiega ben poco a capire come fare per tornarci, nel giro. È il 1972, e alla Tre Valli Varesine mancano i motociclisti. Dovrebbero esserci ma non arrivano in tempo. Lui, che un tempista lo è sempre stato, aveva da poco comprato un Falcone nuovo di zecca, proprio per seguire le corse. «Scusa Renzo - gli chiede uno degli organizzatori -, non è che potresti seguire la corsa per noi? sai, ci sarebbe da portare un giudice in moto». Detto, fatto. È l’inizio del cammino. Le corse sono tante, i chilometri anche, e la passione porta Renzo fin sullo Stelvio. «Ero andato con la mia fidanzata, che poi sarebbe diventata mia moglie. Volevo seguire una tappa del Giro e desideravo vedere da vicino Eddy Merckx. La tappa è di quelle che difficilmente si dimenticano: 8 giugno 1972, diciassettesima tappa, Livigno-Passo dello Stelvio. Vince Fuente davanti a Galdos e Merckx. Il belga resta in rosa. Il giorno dopo, poco prima del via della Solda-Asiago, mi vede il patron Torriani mentre parlottavo con Marcello Bergamo, Miro Panizza e altri amici. “Uè, che bella motocicletta: è tua?”. Sì signor Vincenzo è la mia. “Ti piacerebbe far parte della nostra struttura come motociclista? Noi cerchiamo giovani con passione”. Non me lo sono fanno ripetere due volte e sono andato immediatamente da Michelotti, il braccio destro del patron, per dare i miei estremi. Il mio esordio con la Gazzetta fu al Giro del Piemonte: ancora una volta a vincere fu Eddy Merckx, con il quale poi entrai in confidenza e oggi posso dire di essergli amico». Il primo Giro d’Italia è datato 1973: sempre Merckx. Da quel momento non ne salta più uno: «trentatrè capitoli uno più bello dell’altro». Lo fa per hobby: concessionario Fiat come lavoro e motociclista alle corse per passione. Il 1974 è l’anno della svolta: nasce radioinformazione. «Lo tenemmo a battesimo noi e Torriani ne andava orgoglioso e fiero come pochi - ricorda Bellaria -. All’epoca c’era una vettura Rai e io con la moto facevo da ponte. In macchina in questi anni si sono succeduti tanti personaggi. Il primo Vigo Rigassi, che era anche lo speacker ufficiale dei campionati mondiali: sapeva sette lingue. Poi sono venuti Fanticini, Giacomo Santini, Antonio Vettese, Stefano Piccolo e oggi c’è Virgilio Rossi. Autista della vettura, dal 1977, Gianni Seghetti, che è davvero un’istituzione oltre ad essere una persona squisita. Dal ’75 c’è anche il professor Enrico Fagnani, che è l’uomo dei ponti, il mago dei radioamatori: lui ha messo a punto, ottimizzato e sviluppato radioinformazione in maniera eccezionale, tanto che viene considerata da tutti la migliore del mondo».
IL RUOLO. È lui ad aprire la corsa - la prima moto - (c’è n’è una anche in fondo al gruppo) e che tramite la radio tiene informata la vettura della regìa che a sua volta informa puntualmente anche la sala stampa, le televisioni, i direttori sportivi, la direzione e la giuria di gara e gli agenti della Polizia stradale. «Ho iniziato dal Belgio: il via da Verviers, con Gimondi, Merckx e Motta, il mio idolo. In seguito ho fatto una malattia per Beppe Saronni, poi per Gianni Bugno, Gian Luca Bortolami e Ivan Basso». Avrebbe una montagna di cose da raccontarti, il signor Bellaria, perché le corse bene come lui pochi possono dire di averle viste. «Ne avrei tantissimi di aneddoti, ma non mi sembra giusto raccontarli. Posso dire che ne abbiamo fatte di tutti i colori e ci siamo divertiti un mondo. Oggi le cose sono cambiate radicalmente: in corsa si va mediamente più forte, tutto il giorno, fin dal mattino. Una volta le gare erano più facili, i primi cento chilometri soprattutto erano un lento trasferimento, e lì poteva succedere di tutto. Una volta, ad esempio, mi è capitato di finire io in bicicletta e Fuente sulla mia moto. Oppure quella volta che De Vlaeminck scappò e andò in fuga. Guadagnò un po’ di terreno e poi mi affiancò e mi disse: “vai da Gimondi e digli che sono sempre in fuga”. De Vlaeminck si fermò, si nascose in un campo di grano, attese il passaggio del gruppo e si accodò aspettando che Gimondi venisse a chiedermi dov’era. Io dissi a Felice: “Guarda che Roger sta andando come un matto, non lo prendete più”. Felice chiamò a raccolta tutta la sua squadra e la mise a tirare. Dopo un po’ vedo De Vlaeminck a ruota di Gimondi tutto intento all’inseguimento che rideva. Quando Felice se ne accorse scoppiammo tutti a ridere. Oggi queste cose non possono più accadere. Dagli anni Ottanta è cambiato tutto. Non ci sono più i personaggi che sanno tenere il gruppo e la competizione è troppo accesa. Cipollini è stato forse l’ultimo dei padroni, lo chiamavamo “il casellante”, perché erano gli anni del suo treno e soprattutto perché quando qualcuno partiva troppo forte e soprattutto troppo presto, lui non esitava ad andare in testa al gruppo e allargava le braccia come un casellante che vuole fermare i treni. Se qualcuno ci prova oggi lo tirano sotto». Infine, una battuta di saluto. «Non sento il peso degli anni, non sento niente. Andrei avanti all’infinito…». Insomma, Renzo Bellaria - il decano dei motocilisti di radioinformazione -, non ha assolutamente intenzione di passare la linea.
Porgo la mia solidarietà e i miei auguri al Sig. Bellaria, con l'auspicio di rivederlo presto in sella alla sua moto con la quale presta un servizio indispensabile al ciclismo e ai corridori.
Bartoli64
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