| 27/08/2011 | 17:08
Anche se non porta alla condanna disciplinare per doping, arriva lo
stesso la 'punizione' – prevista sempre dal Codice deontologico – per
il medico che prescrive farmaci agli atleti sani non per fargli vincere
una gara ma al solo fine di far loro recuperare il tono fisico ed
assicurargli, così, il posto in squadra. Lo sottolinea la Cassazione –
con la sentenza 17496 – che ha confermato il verdetto di quattro mesi
di sospensione dall'attività medica per un camice bianco di Rimini,
Vittorio Emanuele B., così come deciso, nel 2005, dalla Commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.
Senza successo il dottore ha sostenuto che «il recupero del tono
atletico era obiettivo in linea con la tutela della salute psicofisica
dello sportivo e che una delle funzioni della medicina dello sport è il
miglioramento delle performances dell'atleta». Ad avviso dei supremi
giudici, che hanno concordato con quanto stabilito dal 'tribunale dei
medici', il mancato collegamento della terapia prescritta con un evento
di tipo agonistico, fa' venir meno "l'addebito relativo al doping", ma
non la violazione delle norme deontologiche che non consentono
"l'esclusiva finalizzazione della terapia prescritta al recupero di un
posto in squadra".
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