| 21/10/2010 | 15:55 ’A Muntagna. Sembra lì per caso, per miracolo, per finta. Come un Everest precipitato in mare, come un K2 emigrato nel Mediterraneo, come un Annapurna sprofondato a sud. ’A Muntagna è l’Etna: divinità prima che vulcano, gigantesca e operosa officina degli dei primache prepotente e miracolosa basilica della natura, inarrivabile olimpo o paradiso primache arrivo ciclistico soprannaturale. Il Giro d’Italia 2011 torna all’A Muntagna. Per la terza volta. Soffocante La prima volta nel 1967: fuga, Franco Bitossi sullo spagnolo Aurelio Gonzales, e Michele Dancelli ancora in maglia rosa. Bitossi: «Un caldo soffocante. Più salivi, meno respiravi. Ricordo un piazzale con gli alberghi. Ci sono tornato quest’anno per una corsa in mountain bike, gli alberghi non c’erano più, sepolti dalla lava. Il traguardo era alla fine della strada, ma l’Etna stava più su. Spento, severo, minaccioso». La seconda volta nel 1989: due scalatori, il portoghese Acacio Da Silva sul colombiano Lucho Herrera, e Da Silva che sequestrò la maglia rosa al velocista olandese Jean-Paul Van Poppel. Maurizio Fondriest, quel giorno dodicesimo a 13" da Da Silva: «Si arrivava in un parcheggio, eravamo stretti fra il calore della gente e il freddo del luogo. E la nebbia nascondeva il cratere». O forse lo custodiva, lo proteggeva. Lunare La terza volta nel 2011: la nona tappa, il 15 maggio, da Messina all’Etna, 159 km, due volte ’A Muntagna, la prima da nord, da Linguaglossa, fino alla località Lenza, quota 1631, la seconda— e finale— da sud, da Nicolosi, fino al Rifugio Sapienza, quota 1904. Fino a 1400 metri, l’Etna è bosco, parco, selva. È quattro versanti ufficiali più una ragnatela di sentieri artigianali e selvaggi. Poi, improvvisamente e, per quanto già lo si sappia, inaspettatamente, è un monte calvo, una crapa pelata, un paesaggio lunare, un Ventoux acceso. Collasso, eruzione, mare di fuoco, fiumi di lava, e poi terra paralizzata e pietrificata, resti e rovine. Dalla parte di Nicolosi spunta il campanile di una chiesa sepolta dal magma. Rispetto Giampaolo Caruso, scalatore siciliano capace di trascorrere settimane sull’Etna per temprare il suo fisico da ramarro, dice che «l’Etna incute rispetto, timore, prudenza. Ogni pomeriggio, puntuale, arriva una nuvola che copre la cima. È come se quella non fosse la sua casa, è come se volesse mantenere le distanze: quando al mare si prende il sole e si fa il bagno, lassù c’è un altro clima, di nuvole fredde». E siccome i corridori rimangono avventurieri ed esploratori, Caruso osa salire su una mountain bike e arrampicarsi verso la sommità, fino a quota 3 mila. Resterebbero altri 400 metri di ascesa al cratere, «ma quelli sono sacri, inviolabili, vulcanici». Sarà una tappa vulcanica. Non per le pendenze: ragionevoli. Ma per il palcoscenico: divino e metallurgico.
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