La Gazzetta. Sabrina Ballerini e quei rally maledetti

| 08/02/2010 | 17:05
«Mi telefonano alle 9. Niente di grave, mi dicono. Capisco che non è vero: se è niente di grave, neanche ti chiamano. Quel niente di grave nasconde qualcosa di grave, gravissimo, o forse di più. Devo andare a La Spezia, c’è mio figlio Gianmarco, 16 anni, che gioca a calcio, la sua prima partita da quando ha avuto un infortunio al ginocchio, legamento collaterale spezzato, otto mesi tra stop e recupero, prima partita nella Lucchese dopo la cessione dall’Atalanta. Mando i miei genitori. Io salgo in macchina e vado all’Ospedale di Pistoia. Un quarto d’ora di strada, ci arrivo prima dell’ambulanza. Se Franco non è ancora arrivato, penso, allora è ancora più grave di quello che temevo.

«IL SUO VISO»
L’ambulanza arriva prima delle 10. Gli addetti aprono gli sportelli, estraggono la lettiga, c’è uno specialista che sta cercando di rianimare Franco. Si precipitano nel pronto soccorso. Un quarto d’ora dopo mi chiama un medico. E’ morto, gli dico io. Lui mi chiede di entrare, di sedermi, di ascoltarlo: si è rotto l’osso del collo, è morto sul colpo, non se n’è accorto. Chiedo di vederlo, anche solo per un attimo. Va bene, mi fa. Franco, eccolo: il viso, poi il lenzuolo. Sembra che dorma. Ha un tampone nell’orecchio. E la sua tuta è insanguinata, dalle spalle ai piedi».

IN FAMIGLIA
Sabrina è a casa, con parenti, amici e Luca Scinto che non si dà pace. Gianmarco c’è, l’altro figlio, Matteo, 10 anni, no: è fuori, con gli amici. «Ci siamo conosciuti che io avevo 15 anni e Franco 21. Qui, a Casalguidi. Lui, dilettante, correva per la Magniflex. Lui non era nessuno, io non lo sono mai stata. Ci siamo piaciuti subito. L’educazione, la generosità: dev’essere stato quello a conquistarmi. Quattro anni dopo, il 28 ottobre 1989, ci siamo sposati. La donna di un corridore non ha la vita facile: il suo uomo non c’è mai. Allenamenti e corse. E a volte, quando c’è, ha la testa via, via sempre là, allenamenti e corse.

«I GETTONI»
Era pochi anni fa, eppure sembra preistoria: i telefonini non esistevano, Franco mi chiamava con i gettoni, i gettoni non bastavano, le frasi rimanevano sospese. Poi, quando ha smesso di correre, la vita non è cambiata: sceso di bici, Franco è salito in macchina. Forse anche la donna di un ex corridore non ha la vita facile: anche il suo uomo non c’è mai. Il bello di Franco è che non diceva mai di no, a nessuno. Certe sere andava a quattro appuntamenti: l’antipasto di qua, il primo di là, il secondo di su, il dolce di giù. Il brutto di Franco è che non sapeva dire di no. Ogni tanto qualche no ci vuole, ti salva, ti protegge. Altrimenti ti toglie, ti sottrae, ti deruba. E quello che dava agli altri, lo prendeva da noi. La qualità resisteva: perché Franco, quando c’era, c’era. Ma la quantità non esisteva più».

IL DOLORE
E’ bella, Sabrina, bella anche nel suo dolore senza lacrime. «Cinque anni fa, Matteo, una diagnosi impietosa: tumore maligno alla testa. Lì, le lacrime, le ho versate tutte. Si può chiedere tutto, a una madre, ma non la pelle, l’anima, il cuore dei figli. Ho pianto, imprecato, pregato. Ho raso al suolo la mia vita e poi l’ho ricostruita, anche con la fede. Prima ti disperi, poi ti arricci le maniche e ricominci. E Franco c’era, l’abbiamo condivisa. Matteo è stato operato, è guarito. Il 27 gennaio ha fatto l’ennesima risonanza magnetica, il 10 febbraio avrà una visita di controllo. Senza poter mai cantare vittoria, ma con la fondata speranza di aver combattuto, lottato e sconfitto  il cancro. Come ho accettato e subito la malattia di Matteo, così accetto e subisco la morte di Franco. La subisco, ma non la capisco».

IL BABBO
Si arriccia le maniche, Sabrina, maglietta e jeans sdruciti: «Pensavo: se manca il babbo, almeno la mamma deve stare a casa, altrimenti i figli che li fai a fare. Così alle corse non mi avete mai vista: Olimpiadi, Mondiali, Giro, classiche, trofei, circuiti... Solo una volta, al Mondiale di Verona, quando sull’ammiraglia di Franco hanno tirato le uova perché non aveva convocato Rebellin. Mai chiesto un pass, ero confusa fra il pubblico. Sempre stata così: arrivo dove posso arrivare con me.

«NON È GIUSTO»
Mai andata neanche ai rally, mai piaciuta la sua passione per le macchine. Brontolavo, poi mi sono arresa: se questo era il suo sogno, il sogno della sua vita. La mia continua. E’ venuto il parroco, preoccupato, voleva fare il funerale in piazza, all’aperto, gli ho detto che è meglio che Franco stia in casa, in chiesa, al chiuso. E’ venuto il medico, due volte, preoccupato per la mia anemia. Sono io a dire loro di non preoccuparsi. Tiro fuori tutto. Le donne sono forti e io sono una donna forte. Ma non è giusto che, visto che sono forte, debbano capitare tutte a me».

da La Gazzetta dello Sport a firma di Marco Pastonesi
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COMMENTI
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8 febbraio 2010 20:30 mikybikers
leggendo quest articolo provo ancora più rammarico, non sapevo del figlio...

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