Bici, il mercato pedala in salita ma l'hitech spinge l'export
| 28/04/2009 | 18:48 È un percorso tutto in salita quello delle biciclette Made in Italy. Gioielli d’artigianato hi-tech che provano la volata al Giro d’Italia del centenario sfidando colossi internazionali di settore sempre più agguerriti. L’Italia resta il primo produttore di bici in Europa, davanti alla Germania, con 2,4 milioni di pezzi sfornati nel 2008. Volumi in leggera frenata, 100mila in meno rispetto all’anno precedente, ma circa la metà delle due ruote messe sul mercato negli anni ’90. Gli eco-incentivi appena entrati in pista (il 30% di sconto sull’acquisto fino ad un massimo di 700 euro), la diffusione di piste ciclabili, un export in buona forma (600 milioni di euro, in leggera cresita), l’argine sull’import (fermo a quota 700-800 mila pezzi) e la stabilità del fatturato (1,2 miliardi) sembrano garantire un futuro solido al comparto. Tanto più che la nicchia di mercato, quel 4% di pezzi sul totale, altissima qualità e performance, destinati ad atleti e appassionati, vale ormai la metà dei ricavi complessivi e più di due terzi delle esportazioni. Telai, cambi, freni, pedali, ma anche scarpe e abbigliamento. L’Italia che corre in bicicletta copre la fascia altissima di prodotti. Ma per De Rosa, Colnago, Pinarello, Olmo, Campagnolo, un centinaio di imprese in tutto, la corsa sta diventando una scalata sempre più faticosa. Il baricentro produttivo, quello legato alle produzioni “labour intensive” (materiali in fibe di carbonio) è stato spostato in Asia, Taiwan su tutti, e nell’Est europeo. In Italia si assembla, si fa ricerca e sviluppo, design e ancora molta produzione di componenti. Ma si tratta di piccole e medie imprese con fatturati, salvo qualche eccezione, compresi tra i 10 e i 30 milioni di euro e un export superiore al 70% dei ricavi costretti al confronti con multinazionali. Sono due i leader dei cambi nel mondo: Shimano e Campagnolo. I primi, giapponesi, contano su un a potenza di fuoco che vale 3 miliardi di fatturato (non solo bici), i vicentini 150 milioni. Questa la forbice, per dimensioni, della sfida. Se poi entrano in scena la crisi economica, l’ombra del doping sulle gare che scoraggia neofgiti e consumatori, la rivoluzione della bicicletta elettronica appena lanciata in Giappone e il costo delle materie prime, tenere testa al gruppo si fa davvero complicato. Quest’anno la Colnago di Cambiago, la Ferrari delle due ruote, la prima ad aver messo sul mercato un telaio a fibra di carbonio, che proprio con il cavallino rampante vanta una collaborazione pluridecennale, rinuncia l Giro d’Italia. Troppo alti i costi di sponsorizzazione, mentre la crisi divora i margini. Sulla scrivania di Ernesto Colnago, il fondatore, che costruiva le bici dei record di Eddy Merckx, si ammonticchiano le proposte di acquisto. «Arrivano dalla Cina, India, Giappone. Ma io non ho nessuna intenzione di lasciare» dice l’imprenditore. Amnzi: «Negli Usa proviamo a scavalcare la distribuzione. Vendiamo direttamente con un taglio dei prezzi fino al 25%». «Il nostro è un settore difficilmente industrializzabile - gli fa eco Fulvio Acquati, di Deda Elementi, 10 miliono di fatturato e 30 dipendenti, ditta che riesce ad esportare manubri ed accessori a tutte le latitudini, Eritrea, Patagonia e Iran inclusi. - È un mondo artigianale, di sarti che producono vestiti su misura per ogni sportivo, professionista o amatoriale. La metamorfosi del settore è già in atto, soprattutto sul fronte della componentistica, grazie ad una efficiente organizzazione delle aziende». Non mancano le logiche di sinergia, come è il caso del distretto della bicicletta del Veneto, anche se i marchi più famosi, accentuando il tipico individualismo italiano, preferiscono pedalare da soli. Oppure collaborando in esclusiva con grandi aziende. Pinarello, primo produttore di biciclette al magnesio al mondo, oggi lavora con Torayca, fornitore di materiali per l’aerospazio, per creare la fibra di carbonio dei propri telai e componenti. C’è anche chi, come Selle Royal, è riuscita a portare sotto la sua ala altre aziende, acquisendo i rivali Brooks. «Molti altri però si sono persi per strada - dice Piero Nigrelli, responsabile bici dell’Ancma, l’associazione di categoria -. I più piccoli hanno dovuto chiudere bottega mentre altri ancora, nel corso del tempo, come Bianchi e Atala, sono passati nelle mani di gruppi internazionali». «Noi intendiamo continuare la tradizione di famiglia - spiega Andrea Pinarelli -. Negli ultimi anni siamo cresciuti a doppia cifra. E vogliamo investire ancora». Nel Giro delle celebrazioni e dei grandi ritorni, come quello di Lance Armstrong e di Ivan Basso, saranno protagonisti gli sponsor stranieri che ormai si sono accaparrati le grandi squadre. Ci sarà, però, conme sempre Campagnolo, l’azienda vicentina di componenti (gruppi e cambi), fondata dal vulcanico Tullio, l’inventore del cambio moderno. Più di 60 brevetti depositati, e l’ultimo di serie, il cambio a 11 velocità, appena uscito sul mercato
da Repubblica - Affari e Finanza a firma di Christian Benna
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