Da la «Gazzetta. Mamma Pantani: «Cristina, aiutami a capire»

| 14/02/2009 | 14:39
La casa è la stessa. Il giardino è più adulto. Cinque anni dopo, villa Pantani urla di silenzio come il mare d’inverno. Il 14 febbraio del 2004, alle 22.42, un flash dell’Ansa annunciò: “Il ciclista Marco Pantani è stato trovato morto in un residence di Rimini”. Il Pirata era morto nel pomeriggio, per “overdose di cocaina”. Il più grande scalatore del ciclismo moderno, il più carismatico e controverso, se ne andava lasciando una scia di domande che ancora rimbalzano nelle nostre coscienze. Cinque anni dopo il Residence Le Rose di Rimini è stato abbattuto e ricostruito. Cinque anni dopo il ricordo di Marco sta perdendo i contorni indefiniti della cronaca, ma non è ancora storia. Villa Pantani è la stessa, anche dentro. Nel bagno ci sono il rasoio e lo spazzolino. Nell’armadio ci sono i vestiti di Marco e nel sottotetto la palestra conserva i segreti di tanti allenamenti a domicilio. Mamma Tonina, quanto le manca Marco? “Ci penso sempre. Mi capita anche di svegliarmi di notte e di sentire le sue parole. Sento che mi invita a ricercare la verità. E poi… adesso non vorrei passare per matta… ma… lo sento anche quando vado a trovarlo al cimitero. Nessuno mi crederà mai. Ma io lo sento. A volte gli dico 'dai Marcolino fammi un saluto' e, da sotto, sento distintamente dei colpi. Ci sono giorni che avrei voglia di scendere giù e tirarlo fuori”. Avete scelto di rimanere nella grande casa di via Fiorentina. “Non abbiamo toccato niente. Passa la donna delle pulizie una volta alla settimana. Vado spesso nelle sue stanze e trovo sempre cose nuove. Dietro all’armadio della sua stanza c’erano fogli appallottolati con frasi e disegni. Su uno c’è un ciclista con le ali, un cappio al collo e un pugnale nella schiena. Ho trovato anche una maglia rosa sulla quale ha scritto 'Ragazzi parlate. Dobbiamo essere un esempio per i bambini'“. Che cosa le ricordano quei mobili, quegli spazi? “Mi vengono in mente le giornate passate in ginocchio, davanti al suo letto, supplicandolo di accettare una cura. Mi sono consumata dal dolore. Fumavo due pacchetti di MS al giorno e mi dannavo per trovare una soluzione. Ho provato anche a minacciare gli spacciatori. Marco però stava sempre peggio. Né il mondo della bici nè gli amici hanno potuto fare nulla”. Adesso come si sente? “Ho crisi periodiche, ma anche una missione da compiere: restituire dignità a Marco. Ho già speso circa 100 mila euro per gli avvocati. In cambio ho ricevuto tante parole, tante promesse e poco altro”. Chi le è stato più vicino? “Mio marito Paolo e Pino Roncucci. Mi sento sostenuta da tanti. Avrei tutto... ma senza Marco niente ha valore”. In questi anni sono nate molte iniziative nel nome di Pantani. Di quale siete più orgogliosi? “Il Museo è bellissimo. E' la nostra seconda casa. Ma io amo soprattutto la 'Pantani corse'. Era un sogno di Marco. Diceva: 'Vorrei avere 100 bambini. Li alleno io e li porto fino al professionismo'. Ora ci prova Pino Roncucci. Noi diamo tutto, scarpe, maglie e bici. I piccoli devono mettere gambe e fantasia. Nel nome di Marco Pantani corrono una quarantina di bambini. Abbiamo soltanto la squadra giovanissimi, ma vorremmo fare anche gli esordienti, gli allievi... Se Romano Cenni ci dà una mano…”. Andate a seguire le gare? “Certo, io e Paolo ci siamo sempre. E’ il nostro rito domenicale. Il ritrovo è al gazebo della Pantani corse. Portiamo dei dolci e dopo le corse, comunque sia andata, si fa festa”. Dopo 5 anni è sempre convinta che la verità sulla morte di Marco non sia emersa? “C’era qualcun altro nella camera. E’ stato costretto a ingoiare cocaina. Da chi? Perché? L’inchiesta dovrebbe essere riaperta: sento che lo hanno ammazzato”. Si batte anche per raccontare un’altra storia su Madonna di Campiglio. “Quello è il mio chiodo fisso. Sono stata a Milano a parlare con Vallanzasca, che mi ha confermato tutto quello che ha scritto nel suo libro, ma non sono ancora arrivata alla persona che gli disse di scommettere 'perché Pantani il Giro non lo avrebbe finito'. Vallanzasca è stato gentile, mi faceva paura sua moglie. Un giorno mi ha chiamato uno di Pesaro dicendo che sapeva tutta la verità sul 5 giugno. Ci sono andata col mio avvocato. Viaggio inutile. Resto però convinta che prima o poi qualcuno parlerà”. Ha più sentito Christina, la fidanzata di Marco? “L’ho cercata. Anzi continuo a cercarla e vorrei tanto parlare con lei. Christina ha una doppia personalità: un giorno è un angelo e un giorno è un diavolo. Ma io le ho voluto tanto, tanto bene. Lei può aiutarmi. Potrebbe avere informazioni decisive”. Perché? “Marco è andato a Rimini, al Residence le Rose perché lì andava Christina quando faceva la cubista e perché cercava Carlino, uno degli spacciatori, per chiedergli il nuovo numero di telefono di Christina. La cercava anche lì. E' stata la sua ossessione fino alla fine. L’ho cercata, le ho anche scritto 'Ti voglio bene, abbiamo passato 8 anni insieme… fatti viva'. Andrò a cercarla a Losanna. Anzi le mando ancora un messaggio: Christina, aiutami!”. L’immagine di Marco che porta dentro di sé? “Lui che ride. Lui che mi conquista con una delle sue risate piene di sguardi intelligenti”. da «La Gazzetta dello Sport» del 14 febbraio 2009 a firma Pier Bergonzi
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