
Trovarlo non fu facile. Abitava in una cascina, nel Pavese, fra Garlasco e il Ticino, in un bosco, fuori dal mondo. Una improbabile stradina sterrata s’inoltrava fra piante e arbusti, acquitrini e sterpaglie, in una fabbrica di zanzare, frequentata o meglio sorvegliata da cani, gatti e un merlo indiano che parlava napoletano e, imperturbabile, ripeteva “fila accà”. La cascina era anarchica, disordinata, rappezzata, eppure accogliente, ospitale, generosa, l’aria di un posto dove non si buttava via nulla, un giorno o l’altro sarebbe potuto tornare utile, addirittura prezioso. E c’erano anche tre vasche popolate di carpe, trote e cobitti, l’attività ufficiale del nostro eroe.
Era il 1994. Luigi Malabrocca – era lui il nostro eroe - aveva 74 anni. Elegante, nel suo genere scapestrato, tra il rupestre e il fluviale. E pettinato, sempre nel suo genere scapigliato, tra il crossista e lo stradista. Parlava servendosi di una macchinetta: operato alle corde vocali, accostando l’apparecchio alla gola emetteva un suono meccanico, elettrico, fantascientifico. Ma lui parlava anche con gli occhi e le mani, parlava anche attraverso la Ninfa, sua moglie, parlava anche mostrando il libro che Benito Mazzi aveva dedicato alla sua storia. “Speriamo di venderne un po’ – sospirò gracchiando -. Sono soltanto una parte delle mie storie, ce ne sarebbero tante altre”. E, a me e alla “Gazzetta dello Sport” per cui ero andato a intervistarlo, regalò questa: “Mantova-Milano, ultima tappa del Giro d’Italia del 1946. Tutti in gruppo, si passa per Brescia, traguardo a premi, un treno di gomme per automobile, Mario Fazio chiede a Oreste Conte il permesso di lasciarlo vincere, ‘siamo nel mio paese’. Conte lo guarda negli occhi: ‘Cosa? Il tuo paese? Ma se ci vogliono otto giorni per arrivarci’. Aveva ragione Conte: Fazio era di Catania. Conte insiste: ‘E poi le gomme servono a me’. ‘Perché, hai la macchina?’, la domanda legittima di Fazio. E Conte: No – ammette – quella la devo ancora comperare’. Primo al traguardo a premi: Conte”.
Quel giorno Malabrocca si commosse: non pensava di valere ancora una mezza pagina per il giornale con cui aveva corso – una formazione mista “Milan – La Gazzetta dello Sport” - proprio quel Giro della rinascita nel 1946. Carlo Orsi lo immortalò mentre un gatto nero ci guardava, più sospettoso che incuriosito, dal tetto in lamiera della cascina. E lì, fuori dalla cascina c’era una bimba. Ascoltava, assorbiva, circospetta ci guardava. Si chiamava Serena. Era la nipotina di Luigi e Ninfa.
Oggi, venerdì 12 settembre, a Condove, 35 km a ovest di Torino verso Susa, Serena sarà la protagonista di “L’ultima Malabrocca – mio nonno, la maglia nera”: aneddoti, casualità e sincronicità raccontate da Serena e con le musiche dal vivo di Fabrizio Ofria e Max Bove, nel Mercato coperto di piazza Primo Maggio, alle 20.45.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.