
Verde, elegante, da donna, con il cestino, attaccata a un palo, a Milano. La scritta, bianca, tutta maiuscolo, sul tubo obliquo, mi ha stretto il cuore. Filippo Zanazzi.
Se ne andò – oggi - undici anni fa, Filippo. Undici anni volati via. Filippo era il figlio di Renzo, maglia rosa al Giro d’Italia 1947, il nipote di Valeriano, una vita da gregario, e di Mario, un anno da professionista, e quell’anno – era il 1952 - tutti e tre fratelli professionisti. Poi la bottega di via Solari angolo via Stendhal, a Milano, i muri di Renzo, la manovalanza di Valeriano, l’eredità di Filippo.
Filippo aveva trovato, in quel tre-per-cinque, più il cortile dove parcheggiava le bici da accettare e consegnare, il suo piccolo paradiso terrestre. Lì dentro si venerava il culto della bicicletta in tutte le sue forme: città e corsa, strada e sentieri, uomo e donna, proprie e altrui, in acciaio e in carbonio, a pedali e a parole, a progetti e a memorie, in italiano e in inglese, soprattutto in milanese. Molto officina, bottega, emporio, un po’ anche salotto, tinello più che salotto, bivacco e rifugio, porto franco e pronto soccorso.
Ci sapeva fare, Filippo Zanazzi. Con le mani e con i modi. Aggiustava, riparava, registrava, sostituiva, trapiantava, lubrificava. Intanto accoglieva, intratteneva, ascoltava, comprendeva, confortava, incoraggiava. Ci si rivolgeva a lui con la bici rotta e l’umore giù di corda. Ci si congedava da lui con la bici risorta e il morale su di giri. Con le prime pedalate si rischiava di decollare. Finché a sessant’anni, dimostrandone dieci di meno, Filippo (per gli amici era Pippo) chiuse bottega ed esistenza. Dopo un decennio tenacemente gestito da Rossignoli, il locale è stato chiuso.
Ma rimangono in vita le biciclette firmate Filippo Zanazzi. Ogni tanto emergono da un parcheggio, attendono a un semaforo, frullano sui Navigli, arrancano sul Colle Brianza. Come se un quadro del Mantegna emigrasse dalla pinacoteca, come se un pezzo dei Beatles risuonasse sul tetto di una casa, come se una filastrocca di Gianni Rodari echeggiasse da un’aula scolastica. Lampi geniali. Visioni libere. Istanti vivi.
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