
Meri ma non per sempre. Meri Malucchi se n’è andata, era il 24 agosto. Quindici mesi di lotta, sfida, combattimento, una guerra di resistenza a oltranza, assediata da un cancro che l’ha privata a poco a poco di tutto, tranne che della voglia di vivere.
Meri era l’anima dei CanNibali, lo storico gruppo di sostenitori di Vincenzo nonché di tutti i ragazzi della Mastromarco, da Damiano Caruso ad Alberto Bettiol, di cui Bruno Malucchi era il presidente gentiluomo, figura di riferimento - non solo del ciclismo - ai piedi del San Baronto. I CanNibali inseguivano la loro stella cometa sulle Alpi e sui Pirenei, s’insediavano su un tornante o un rettilineo, parcheggiavano camper e piantavano tende, accendevano griglie e stappavano bottiglie, ospitavano tutti per niente, perfino i sostenitori di Giovanni Visconti, l’eterno rivale di Nibali, dalla Sicilia alla Toscana con identica amore, passione e rivalità.
Meri aveva 58 anni. E il dono del sorriso. E sorridendo raccontava, svelava, accoglieva, e sorridendo organizzava, allestiva, liberava, e sorridendo salutava le vittorie di Vincenzo e anche quelle dei suoi avversari. A Meri e ai CanNibali si devono le feste improvvisate stradali e quelle annunciate danzanti, i cenoni popolari e i rifornimenti volanti, l’irrinunciabile premio battezzato Tandem in una serata ideata da Stefano Benvenuti, e lo squalo dello Stretto gonfiabile non solo al Giro, ma anche alla Vuelta e al Tour. A Meri e ai CanNibali si deve quella passione sana, vera, autentica, genuina, allegra (qualcosa del genere si è vista poi solo per Alan Marangoni, e chi in quegli anni batteva la strada può confermarlo).
E pensare che il primo amore inteso come sport, per Meri, non era il ciclismo, ma la pallavolo. Da atleta e allenatrice, da dirigente e accompagnatrice, da simbolo e bandiera. Nel suo calvario lungo quindici mesi, Meri ha alzato un’infinità di muri stringendo alleanze e complicità, tra solidità e solidarietà, diffondendo energia ed elargendo ottimismo, proprio lei mutata dalla malattia, ma non nella volontà, nello spirito, nella speranza. Di Meri avevamo già scritto su Tuttobiciweb, quando anche Tadej Pogacar si era unito al gruppo alzando il muro. Per chi seguiva sempre Meri su Facebook (il suo motto: “La vita è un dono speciale. Cerca di non sprecare il tempo. Non sai quanto ne hai!”), gli ultimi messaggi sono stati taglienti e sanguinari come stilettate: “Bella la vita!!! Godetevela! Non privatevi di quello che volete e potete fare! Divertitevi, andate al massimo! Un giorno potreste non poterlo più fare, come è successo a me!” (16 luglio), “Ci proverò!!! Proverò a tener duro, il mio avversario è forte e devo sperare nella medicina! I medici e la medicina, sono i miei alleati più importanti in questo difficile campionato. Ho accettato una terapia sperimentale. Scelta quasi obbligata per tenere accesa la speranza. A questo punto, l'attesa è la parte più difficile. E adesso sono in questa fase. Spero d’iniziare quanto prima ad avere le armi per combattere” (24 luglio), fino all’estremo “Andrà come doveva andare” (2 agosto). È mancata il 24 agosto scorso.
E’ andata così. Per chi l’ha conosciuta, per chi ne ha condiviso la strada o anche soltanto un tornante, per chi ha comunque alzato il muro, è stata una piccola memorabile fortuna. E questo privilegio rimarrà. Meri per sempre.
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