
Una carezza, un abbraccio e un bacio alle sue donne, che se lo stringono tutto. Una carezza durata un giorno, con una notte insonne, a pensare a quello che è accaduto, lui che di maglie ne ha vestite poche (Lampre e Uae Emirates, adesso XdS Astana, ndr) e quella lì, quella rosa, è la più inaspettata.
«Forse è anche il mio colore, visto che sono circondato da donne - dice Diego Ulissi sornione, l’italiano che ha riportato il ciclismo azzurro in rosa dopo millequattrocentosantasei giorni -. Ho vissuto qualcosa di inaspettato, io che ho inseguito per anni la maglia tricolore dopo aver vestito in età precoce - da juniores - due maglie iridate di categoria. Non sono uno che si commuove facilmente, ma indossare la maglia rosa è stato per me qualcosa di intenso».
L’ha portata a casa a 35 anni, dopo averla cercata per tutta la tappa di Castelraimondo, quella dei muri marchigiani.
«In quel momento, poco prima di salire sul podio delle premiazioni, mi è passata davanti tutta la mia vita. Ho ripensato ai sacrifici dei miei genitori, dei miei nonni, alla fatica fatta fin qui. Alla mia età non è semplice restare competitivi, soprattutto adesso, che ci sono questi ragazzini che vanno velocissimi. Che non fanno tattiche, che si buttano e basta. L’avevamo preparata, la tappa da Giulianova a Castelraimondo, volevamo inseguire qualcosa di bello sui micidiali muri marchigiani, ma l’idea era quella di vincere la tappa, non certo di vestire la maglia rosa».
Vittoria dell’australiano Luke Plapp, più forte sulla penultima salita. Diego terzo, prima dell’annuncio di qualcosa di inaspettato. Per 12” sul compagno di squadra Fortunato e 17” su Roglic è arrivato dove non era mai stato prima, pur avendo una carriera da 48 vittorie, 8 al Giro, la prima nel 2011. L’ultimo italiano in rosa? Alessandro De Marchi a 35 anni nel 2021, era durato due giorni.
«Lo considero come un premio alla carriera che mi sono fatto - mi spiega - dopo essere passato tra vicissitudini in una vita da predestinato. Questa maglia è anche per Arianna e le nostre tre bimbe: non potete immaginare i sacrifici che si devono fare per restare competitivi. Ma io li faccio volentieri perché mi piace, perché è la mia passione e il mio lavoro, per Arianna è più difficile, ma sa che è giusto così… Come giusto sarebbe stato farmi fare il Giro un anno fa, al fianco di Pogacar: me lo sarei meritato».
Dicono che sia stata gioia effimera. Un soffio di vento sui capelli, ma per Diego è stato ossigeno.
«Mi sono sentito come un ragazzino: felice e incredulo, sono sensazioni bellissime. È una fortuna vivere certi momenti».
da tuttoBICi di giugno
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