
La storia della Santini, il maglificio del Cavalier Pietro che quest'anno ne compie 60, la potete ripercorrere anche A QUESTO LINK nell'intervista della serie "capitani coraggiosi" che il nostro direttore Pier Augusto Stagi ha realizzato quindici mesi fa con le sorelle Monica e Paola Santini. Quest'ultima, Paola, direttrice marketing dell'azienda bergamasca, la potete ascoltare nella puntata 276 del podcast BlaBlaBike con tanto di aneddoti. In questa sede, ecco l'intervista che abbiamo realizzato ieri con la sorella, l'amministratrice delegata Monica Santini.
Giovedì scorso abbiamo avuto il piacere di partecipare alla serata inaugurale del festival Santini: 60 Years of cycling, cosa le rimane della serata e com'è andato poi il festival?
«Dalla serata mi rimangono tante belle sensazioni, condivise peraltro in famiglia, e i complimenti ricevuti sia per la festa che per le mostre e installazioni che abbiamo allestito. Mi rimane la gioia per la grande partecipazione di quella sera e dei due giorni successivi, stiamo pensando di realizzare un book con tutti i bei messaggi che abbiamo ricevuto. Venerdì sera la Gravel Ride e l'intrattenimento sono stati partecipatissimi, il mezzo tifone di sabato per poco non ci trascinava via (sorride, ndr) ma ci siamo ben riorganizzati facendo i talk all'interno. Abbiamo davvero fatto il pienone!»
Sessant'anni dell'azienda, 16 con lei alla guida: come si sente a portare avanti una tradizione come quella di suo padre e di sua madre Maria Rosa Fumagalli, con sua sorella al fianco?
«Lo avverto come un onore e una responsabilità. Io e Paola lavoriamo ogni giorno per mantenere i valori e il modo di lavorare dei nostri genitori, una tradizione continua che ci porta a essere un'azienda fortemente rispettata. Nostro padre è riconosciuto da tutti come un cavaliere, non per il titolo ma per la sua modalità sempre da gentleman, e noi figlie abbiamo preso su di noi la "missione" di portare avanti tutto questo cercando al contempo di fare continui passi in avanti: Santini dev'essere un'azienda con un forte passato, ma che risulti moderna e attrattiva.»
Come si fa a rimanere un'azienda leader del settore... producendo tutto "in loco" senza delocalizzare?
«Partiamo da una premessa: interpretiamo il nostro ruolo soprattutto come datori di lavoro. Quando è uscita la "moda" della delocalizzazione, non l'abbiamo presa in considerazione per rispetto delle persone che ci dedicano la loro vita lavorativa. Questo peraltro, allo scoppio della pandemia Covid-19, ci ha consentito di essere flessibili e "visionarie" con relativa facilità: quando tutti attorno a noi avevano problemi legati alla supply chain qui siamo stati in grado di rispondere adeguatamente alle richieste del mercato. Mantenendo a Bergamo la produzione, abbiamo il vantaggio di controllare i processi dall'inizio alla fine: magari abbiamo un'idea alla mattina, la possiamo sviluppare subito in fabbrica e già l'indomani testarlo. Se dipendi da una produzione a migliaia di chilometri di distanza, ciò è impossibile. In Santini abbiamo un personale ricco di skill, capacità, dedizione e "attaccamento alla maglia" che puoi ottenere solo quando i lavoratori vedono da vicino l'unità d'intenti e l'impegno concreto da parte della direzione aziendale. Finché avremo tutti gli elementi per farlo, continueremo con questo modello così vantaggioso. La vera sfida in tal senso è continuare a trovare il giusto personale, perché oggi è molto complesso.»
Rispetto a quando è entrata lei in azienda, è più facile o più difficile realizzare maglie da ciclismo di qualità?
«Abbiamo a che fare con tecnologie nuove e diverse, che sono più complicate ma al contempo rendono più facile innovare. A me piace dire che ormai siamo costantemente in una "ruota del criceto" dove viene naturale pensare costantemente a qualcosa di diverso. Fa parte della trasformazione della società in generale e di aziende come la nostra, abituate a pensare di dover fare ancora meglio rispetto a quanto fatto il giorno prima. Quando sono arrivata io l'attività dipendeva da due o tre figure che dovevano pensare sempre a cosa realizzare di diverso. Negli anni, insieme a mia sorella, abbiamo creato un ecosistema dell'innovazione dentro Santini: gli input giungono da più parti, quasi in automatico. Poi sì, i prodotti sono più strutturati e rifiniti, con tessuti che richiedono determinati trattamenti: è sicuramente più complesso. A chi viene a lavorare da noi diciamo che deve "abbracciare la complessità: se non ti piace la complessità, non è il tuo posto!"»
Quali innovazioni in particolare ci dobbiamo aspettare a breve?
«In genere ci concentriamo su "pezzettini d'innovazione" su prodotti che già esistono ma che evolviamo di continuo. Un po' come le automobili, di cui escono periodicamente versioni evolute dello stesso modello. Al momento stiamo costruendo dei capi che non sono così istintivamente collegati col nostro brand: noi siamo sempre stati quella della performance, che abbracciano le necessità degli "impallinati" come li chiamiamo con affetto, e questo continuiamo a farlo con i consueti standard, però stiamo lavorando in parallelo su una figura nuova di consumatore che vuole godersi la bicicletta in senso più ampio e ha bisogno soprattutto di protezione e facilità d'uso. Quindi bollono in pentola tanti progetti contemporaneamente.»
Il ciclismo è diventato uno sport per ricchi?
«Costa molto di più rispetto a dieci anni fa. Noi cerchiamo di mantenere un buon rapporto costo-qualità, ma più diventi innovativo e i prodotti sono elaborati, e se ci aggiungi l'aumento dei costi del lavoro e delle materie prime nel mondo, più i prezzi purtroppo si alzano. D'altro canto, è pur vero che sul mercato si trova un po' di tutto. Se vuoi sempre e solo il prodotto "top" appena uscito, costerà molto di più; se ti accontenti di quello uscito prima, puoi acquistare un prodotto comunque di alto livello ma spendendo meno. Il "costoso" dipende anche da come lo si interpreta.»
Chiude gli occhi, pensa alla maglia iridata Santini: qual è la prima immagine, il primo corridore, che le viene in mente?
«I Mondiali sono forse la corsa che vivo con più emozione, di sicuro da quando realizziamo noi la maglia iridata (1988) di Mondiali su strada ne avrò saltati forse tre e potrei stare venti minuti a tirar fuori ricordi. Il nome più d'impatto in questo momento storico è Tadej Pogacar, ma per esempio ho un ricordo bellissimo legato alla vittoria di Cadel Evans nel 2009 perché come Santini l'abbiamo vissuta da partner tecnico della Nazionale australiana. Idem i successi di Peter Sagan come partner della Nazionale slovacca. E mi balza subito alla mente il tris di Oscar Freire, un vero amico che ha prestato la sua testimonianza alla serata di giovedì scorso. Mi preme infine menzionare una donna: Lizzie Deignan. Una campionessa con la quale abbiamo collaborato tantissimo e collaboriamo ancora oggi, dato che corre in Lidl Trek. Fu proprio la maglia di campionessa del Mondo a metterci in contatto con lei, negli anni tra strada e pista ne ha collezionate altre e Santini è diventata amica di questa ragazza davvero speciale.»
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.