REBELLIN E LA TAVERNETTA-MUSEO DI PAPA' GEDEONE

STORIA | 16/12/2022 | 08:20
di Paolo Broggi

«Davide vinceva, papà Gedeone accoglieva coppe e trofei, ritagliava articoli di giornale, catalogava tutto, sceglieva fotografie significative, selezionava interviste e racconti e metteva tutto in una taverna, sotto casa. Ora quella taverna è un museo alla memoria, che racconta 40 anni di ciclismo».


È davvero carico di emozione l'incipit dell'articolo che Renzo Puliero ha scritto per L'Arena, per raccontare la stanza dei ricordi di Davide Rebellin, il campione tragicamente scomparso lo scorso 30 novembre in un assurdo incidente stradale alle porte di Lonigo.


Racconta Puliero: «Nel museo trovi la bici Grandis con la ruota lenticolare del campionato mondiale della 70 chilometri vinto da juniores, la medaglia d'argento del mondiale dilettanti, la maglia rosa indossata per sei giorni al Giro del 1996 "quando - racconta Carlo, fratello di Davide - fermammo letteralmente la corsa al passaggio davanti a casa nostra, a Madonna di Lonigo, con Davide davanti e tutti i tifosi sulla strada, bastava un abbraccio, un sorriso, poche parole"», il trofeo dell'Amstel e quello della Liegi, curosamente identico a quelli della Freccia Vallone, e ancora tutte le maglie indossare in carriera. Si va dalle società veronesi Pizzini, Riboli Val d'Illasi, Opel Vighini Venera e tanto altro».

Ma Puliero in quella tavernetta trasformata in museo nota un'assenza: «manca la medaglia d'argento conquistata ai Giochi di Pechino 2008, ma c'è la foto "a ricordarmi - diceva Davide - che l'ho vinta, l'ho meritata e che continuo a sentirla mia"».

Da qualche mese papà Gedeone non c'è più, a casa è rimasta mamma Brigida, accanto a lei i figli Carlo, Stefano e Simone, anche loro ex ciclisti, anche loro ancora increduli per la tragedia occorsa a Davide, anche loro con troppe domande senza risposta sul trattamento che è stato riservato a Rebellin dal mondo del ciclismo, sulle tante porte che gli sono state chiuse anche quando sembrava dovessero aprirsi, su quelle classiche che tanto avrebbe voluto tornare a correre, sulle Olimpiadi di Sydney sfumate con Pantani in viaggio con la borsa che portava la scritta "Rebellin" - come ricorda Carlo -, sulla mancata convocazione al mondiale del 2004, su quella medaglia olimpica che adesso qualcuno vorrebbe riconsegnargli, su quel dannato camionista che infila la rotonda, aggancia Davide, lo lascia morente e riparte...

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