JONATHAN MILAN, IL GIOVANE SAGGIO

INTERVISTA | 28/11/2022 | 07:50
di Nicolò Vallone

I Mondiali su pista parigini, prodromo dell’Olimpiade 2024, han­no scolpito nella pietra, anzi nel parquet, un importante responso azzurro: nell’inseguimento, a ruo­ta di Filippo Ganna, c’è un marcantonio friulano di 22 anni dal nome che già promette internazionalità, Jonathan Milan.


Il nostro scambio di battute con lui “a bocce ferme” è serrato e veloce, come i suoi scatti in velodromo e i suoi spunti su asfalto, ma non disdegna momenti di riflessione più ampia.


Abbiamo parlato con Milan nella settimana successiva al doppio argento (squadre e individuale) ottenuto con la maglia azzurra a Saint-Quentin-en-Yvelines e tre settimane dopo i primi due successi su strada, alla CroRace, dove a fine settembre si era aggiudicato la classifica a punti.

Cosa provi, così giovane, a essere al se­condo anno nel World Tour e al secondo posto della pista a livello globale, con già al collo dall’anno scorso l’oro olimpico in quartetto e quello europeo individuale?
«Sensazioni molto belle, che ripagano di tutti gli sforzi e i sacrifici. È fondamentale essere consapevoli dell’entità dei risultati e rimanere se stessi. Come squadra abbiamo posto buone basi e sento che possiamo ancora migliorare».

Quando sei arrivato a dover correre la fi­nale contro Ganna, cosa ti sei detto e cosa vi siete detti?
«Mi son detto che sinceramente avrei dato tutto, volevo cercare di portarmela a casa questa maglia iridata: ho dato il massimo, forse ho sbagliato qualcosa in partenza e nei primi giri e a quel pun­to contro Pippo c’è ben poco da fare. Prima di partire ci siamo abbracciati e dati un “in bocca al lupo” reciproco. Consapevoli, come giusto che sia tra corridori che disputano una finale mondiale, che ce la saremmo giocata fino all’ultimo».

Ci descrivi l’atmosfera che si respira nel gruppo azzurro?
«Quello che percepite voi all’esterno corrisponde alla realtà dall’interno: l’armonia che mostriamo è ciò che ci anima, siamo belli coesi e questo contribuisce a non farci sentire la pressione della gara. Il che è di vitale importanza: non saper gestire l’ansia può di­ventare un problema. Noi azzurri ridiamo e scherziamo sempre, ma poi quando c’è da tornar seri si fanno le cose bene: c’è una sorta di legge non scritta, che appena scatta l’ora precedente alla gara si entra in modalità race. Ecco uno dei nostri segreti».

Differenze tra Olimpiade e Mondiale?
«I Giochi sono la manifestazione sportiva più importante e che dà piu lustro, e personalmente a Tokyo arrivai piuttosto teso. Ai Mondiali parigini, a un anno di distanza, mi sono reso conto di gestire meglio questa tensione».

E cosa provi quando sei raccolto nella ti­pica posizione, sulla tipica bici, con il ti­pico equipaggiamento da pista, con da­vanti quell’ovale da macinare nel più bre­ve tempo possibile?
«Adrenalina. Prima dello start sono completamente concentrato, penso solo a quello e alle cose da fare: la partenza, i cambi eccetera, mi rivedo tutto nella mente per fissarmelo bene in te­sta. Poi scatta la corsa ed è come to­gliersi un peso dallo stomaco: mi focalizzo sui tempi, sugli incitamenti del c.t., in un super mix di concentrazione e divertimento».

I velodromi sono il tuo primo amore rispetto alla strada?
«No, metto le due discipline esattamente sullo stesso livello. Nella mia carriera cercherò di portarle avanti ai livelli più alti possibile. Penso sia fattibile, anche grazie agli ottimi esempi che ho davanti agli occhi, come Gan­na, Consonni e Viviani. Finché si trovano i giusti ambienti e stimoli sia su pista che su strada, e stai bene con gli amici e con lo staff, sia in Nazionale che nel club, il connubio riesce facile e non ti pesa».

Ci colpisce che non hai detto “compagni” ma “amici”.
«Ho un bel rapporto sia coi compagni di Nazionale che con quelli della Bah­rain Victorious. Chiaramente capita di correre più spesso con alcuni: nel mio caso Mohoric, Caruso, Maciejuk, Haussler e Bilbao. Ma ho legato davvero bene con tutti».

Sul team bahreinita torniamo dopo, ora restiamo un attimo... in pista: rispetto a quando veniva considerata più che altro “collaterale” alla strada, ora questa branca del ciclismo sta assumendo sempre più rilevanza e “indipendenza”.
«Guarda, faccio pista da quando sono junior (quindi dal 2017-18, ndr) e in effetti andavamo a fare qualche gara in velodromo senza allenamenti specifici: quelle corse erano praticamente un divertissement per allenare lo spunto veloce su strada. Io però penso che a sua volta la strada possa essere di supporto alla pista, dato che ti aiuta a far crescere la condizione. Sono convinto che una disciplina aiuti l’altra, senza che ce ne sia una più importante: se le sai portare avanti insieme vengono fuo­ri belle cose, e lo stiamo vedendo. Non solo con me, ma coi sempre più numerosi uomini e donne che le praticano entrambe ad alti livelli.»

E come le hai conciliate in queste prime due annate da professionista?
«Nel 2021 ci siamo detti di puntare a iniziare bene su strada con le corse di apertura e le classiche belghe. Poi, per arrivare ai Giochi di Tokyo nel miglior stato di forma, ho incrociato i due cammini facendo un’alternanza. Nel 2022 ho voluto dare un po’ più spazio alla strada: prima dell’UAE Tour ho fatto il Saudi, quindi la Milano-Sanremo e qualche gara in Belgio. Purtroppo però un problema all’addome mi ha tenuto fermo tre mesi e non è stato semplice riorganizzare il calendario».

Un calendario che ti ha trascinato alle prime vittorie su strada...
«Sono andato alla CroRace ben consapevole che, dopo esserci andato molto vicino in Polonia e Germania, quella era l’ultima opportunità per conquistare il primo successo su strada da prof. Le caratteristiche della corsa erano ideali per me, la squadra per aiutarmi c’era, ho dato tutto me stesso e, complice un team impressionante, abbiamo controllato le tappe: io ho vinto le due volate iniziali e nei giorni successivi Ma­­tej Mohoric (trionfatore alla San­remo sei mesi prima) ha completato l’opera vincendo la classifica generale».

Quali sono i tuoi programmi adesso?
«In primis una vacanza a Malta coi miei amici: al termine di una stagione non lunghissima ma intensissima sul finale, c’è bisogno di staccare la spina. Poi un mese per riprendere con calma tra palestra e bici, fino al ritiro di di­cembre in Spagna. Andremo di nuovo ad Altea, un posto tranquillo con tante belle salite... purtroppo (aggiunge ri­dendo, da buon velocista, ndr)».

Pronto al tuo terzo anno in Bahrain Victorious.
«Sì, e non cadete in alcune dicerie che ho letto da qualche parte, secondo le quali questo era il mio ultimo anno di contratto! Sarò qui pure nel 2023 e mi trovo molto bene: c’è comunione di in­tenti e siamo intenzionati a puntare sempre più sulle classiche».

Difatti sappiamo che la tua gara dei sogni è la Parigi-Roubaix. Non ti piacerebbe mi­surarti anche con un grande giro?
«Altroché! Ne ho già parlato con la squadra: sempre che non succedano mille cose come quest’anno, condividiamo pure l’idea di una corsa a tappe di tre settimane».

Del futuro abbiamo parlato abbastanza, ora rivolgiamoci al passato e a cosa ti ha portato fino a qui. Premessa: sei nato a Tolmezzo ma sei di Buja, direi che una domanda su Alessandro De Marchi è di rito...
«Da piccolo lo vedevo correre e ora ci ho fatto qualche gara insieme, è un fantastico punto di riferimento. Quando in paese seguivamo le corse, ok i grandi nomi ma principalmente tifavamo per lui. Adesso quelle poche volte che le nostre date coincidono, usciamo in bici insieme».

Ci puoi raccontare la tua love story col ciclismo?
«Ho iniziato a pedalare che non avevo ancora compiuto 5 anni. Papà Flavio, che era stato pure professionista in Amore&Vita dopo svariate stagioni da dilettante, correva ormai in categorie amatoriali e mia mamma mi portava a vederlo. Lei non voleva che io mi impuntassi a seguire per forza le orme paterne, ma non ne volevo sapere: “Ma­gari contemporaneamente faccio altro, intanto faccio ciclismo”, ero piccolo ma le idee erano già chiarissime. Parallelamente infatti ho praticato tennis, arti marziali, nuoto, sci... ho fatto allenamenti di tutto e di più ma, senza nulla togliere alle altre discipline, il ciclismo mi regalava quel brivido in più: solo in sella a una bici provavo quel senso di libertà. E siccome ero uno che, quando si giocava al parco con gli altri bambini, se c’era una pozzanghera ci si buttava apposta perché adoravo sporcarmi nel fango, ho iniziato con la mountain bike. Era il 2005, mio padre e il suo amico Marco Zon­tone fondarono il Bike Team Jam’s: il nome è composto dalle iniziali dei loro figli, Jonathan (io), Asia (figlia di Zon­to­ne) e mio fratello Matteo. Una squadra nata letteralmente con noi: dapprima ci correvamo insieme ad alcuni compagni di scuola, poi in pochi anni si è espansa fino a raccogliere 50 bambini. Ha sempre e solo avuto settori MTB e ciclocross ed esiste tuttora. Alla Jam’s io ho fatto tutta la trafila Gio­vanissimi ed Esor­dienti, solo da Allie­vo sono passato alla strada: primo anno con la Ciclistica Bu­je­se e secondo con la Ciclistica Sacilese, dove sono rimasto pure per il biennio juniores. Fino al passaggio al Cycling Team Friuli da Under 23 nel 2019 e quello da professionista nel 2021 in Bahrain Victo­rious. Il ciclismo fa parte del mio dna, durante la mia crescita ho pensato a qualche piano B eventuale, ma in testa ho avuto solamente questo sport: ho il privilegio di poter fare nella vita esattamente quello che volevo.»

La fortuna è trovare persone che ti supportano e influenzano positivamente...
«Assolutamente, a partire dalla mia fa­mi­glia che, come avete visto, è stata im­portantissima. Dopodiché bisogna trovare non solo chi crede in te, ma qualcuno che ti faccia appassionare a ciò che fai. Fortunatamente sono sempre andato in squadre in cui preparatori e direttori sportivi ci mettevano anima e cuore e non facevano quel lavoro per il risultato: la loro soddisfazione è quella di trasmettere la passione e far capire le cose giuste ai loro corridori. Diesse come Ivano Rosso e Stefano Lessi, An­drea Fusaz e Renzo Boscolo mi hanno permesso di mantenere questa filosofia nella quale credo fermamente. Specie da Giovanissimi, Esor­dienti e Allievi i ra­gazzi devono divertirsi e non pensare a dover vincere per forza, poi se riescono a farlo benissimo, ma non è la priorità. E devono conciliare lo sport con la scuola, che non va mai messa in secondo piano. Poi è normale che salendo di categoria e avvicinandosi l’età adulta e il salto da Elite o professionisti, l’ottica inizia a cambiare e si inizi a chiedere qualcosa in più. Ma anche a Bah­rain e Nazionale vedo gente che lavora con amore per questo sport. E questa è la chiave di tutto: se ci sono cuore e passione, allora si riesce a trasmettere tut­to efficacemente».

È un bell’argomento, che emerge spesso quando si parla della crescita di voi talenti. Ti sembra che ormai si trattino i giovani troppo “da professionisti” col rischio di nauseare anche potenziali campioni e indurre i ragazzi a smettere anzitempo?
«Di realtà che non ho vissuto non pos­so parlare. Sicuramente, così come nel­la vita, se una corda si tira troppo finisce per spezzarsi. Secondo me il ciclismo dev’essere una valvola non di sfo­go, bensì di svago. È importante capire che c’è un limite psicofisico a cui non ci si deve nemmeno avvicinare: i giovani corridori devono essere messi nelle condizioni innanzitutto di divertirsi. Poi se qualcuno ha la capacità di ap­prodare al professionismo bene, ma tutti i ragazzi dovrebbero correre ricordandosi che il ciclismo non dev’essere tutto nella vita. Io sono cresciuto con la passione che vi dicevo prima, ma tenendo bene in mente anche questa verità».

Una mentalità che certo non ti ha impedito di mettere a frutto il tuo talento, e anzi ti porta a farlo col massimo entusiasmo: un bel messaggio a chi ha il compito di tirar su le nuove leve. Chiudiamo con una battuta su tuo fratello Matteo: corre nel team Friuli e a gennaio compirà 20 anni, cosa ci dici di lui?
«Bel corridore, ha vinto qualche gara ma ancora deve completare lo sviluppo fisico quindi ha tanto margine di mi­glioramento. Sono sicuro che coi preparatori che ha è in buone mani. Ha caratteristiche un po’ diverse dalle mie: lo spunto veloce non gli manca, ma è un passistone che tiene discretamente in salita, quindi può diventare un uo­mo da classiche».

 

da TuttoBici di Novembre

Copyright © TBW
COMMENTI
Hai dimenticato i tuoi dati, clicca qui.
Se non sei registrato clicca qui.
TBRADIO

00:00
00:00
La conclusione del Tour de France significa anche Criterium post-Tour. Belgio, Francia e Olanda le nazioni interessate ad ospitare le kermesse-spettacolo che da decenni appassionano milioni di tifosi. Finora sono nove i Criterium che si sono disputati e che hanno...


GreenEDGE Cycling è entusiasta di confermare le estensioni contrattuali di tre atlete che passeranno dal team Continental Liv AlUla Jayco Women's al WorldTeam per il 2026.  Dopo il loro promettente sviluppo nelle ultime due stagioni nel team develoomnet , l'australiana...


Terza vittoria stagionale per l’atleta della Petrucci Assali Stefen Makro Brandon Fedrizzi che sul traguardo di Faè di Oderzo (TV) mette in scena una delle sue progressioni e vince in scioltezza superando allo sprint Martin Gris e Tommaso Marchi. Settimo posto per il...


La vittoria conquistata alla Clasica di San Sebastian 2025 ha permesso a Giulio Ciccone di diventare il 64° ciclista in stagione capace di aggiudicarsi gare World Tour, il settimo italiano dopo Jonathan Milan, Filippo Ganna, Andrea Vendrame, Lorenzo Fortunato, Christian...


Come spesso accade nella Arctic Race of Norway (in programma dal 7 al 10 agosto), la Uno-X Mobility punta al bersaglio grosso schierando Andreas Leknessund che tenterà di vincere nuovamente la maglia del Midnight Sun - dopo quella conquistata nel...


Ieri sera i fan hanno riempito la piazza antistante l'iconica Centennial Hall per la presentazione ufficiale della squadra e dei corridori dell'82° Tour de Pologne UCI WorldTour. Questo evento ha segnato la cerimonia di inizio del massimo evento ciclistico della...


In questo inizio di agosto si muovono sul mercato  anche le formazioni italiane e in particolare è il Team Polti VisitMalta che sta lavorando ad un triplice colpo. Sembra essere ormai ad un passo dalla conclusione la trattativa per l’ingaggio...


Al Velodromo “Attilio Pavesi” la terza giornata dei Gran Premi Internazionali di Fiorenzuola – 6 Giorni delle Rose Bianche ha visto l’inizio delle gare per le categorie Elite, maschile e femminile, con due omnium avvincenti e combattuti, che per l’alto...


Dal 17 al 19 ottobre 2025, Jesolo tornerà a essere la capitale italiana del ciclismo grazie allo Jesolo Bike Festival, una manifestazione che negli anni ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama nazionale. L’evento, nato come semplice...


La nuova Domane+ ALR di Trek è appena arrivata, completando così la sua collezione di e-bike da strada con un modello leggero in alluminio che consente ai ciclisti di godere di maggiore potenza a un prezzo più accessibile rispetto al...


TBRADIO

-

00:00
00:00





DIGITAL EDITION
Prima Pagina Edizioni s.r.l. - Via Inama 7 - 20133 Milano - P.I. 11980460155




Editoriale Rapporti & Relazioni Gatti & Misfatti I Dubbi Scripta Manent Fisco così per Sport L'Ora del Pasto Le Storie del Figio ZEROSBATTI Capitani Coraggiosi La Vuelta 2024