C come Carapaz. Nel senso di Richard, ciclista ecuadoriano e leader della classifica dei giovani. E’ il primo del suo Paese a partecipare al Giro: ovviamente, è il primo del suo Paese a vestire una maglia del Giro. Dovesse vincerlo, sarebbe il primo del suo Paese a riuscirci. La sua presenza ha già sollevato un dibattito culturale: in tanti si chiedono se si dica ecuadoriano o ecuadoregno. La forma corretta è la prima, la seconda è un dispregiativo: la usano soltanto i tifosi del Genoa, ai quali riesce difficile pronunciare il suffisso ‘doriano’. E’ uno scalatore nato perché è nato scalatore: se vieni da El Carmelo, cittadina a 3.600 metri di quota, non puoi scegliere di essere velocista o tentare di diventare cronoman, al massimo puoi provare a fare il discesista. A scoprirlo è stato Oscar Sevilla, ciclista spagnolo che ha corso ai tempi di Indurain e Bugno, di Armstrong e Pantani, di Nibali e Sagan e progetta di farlo anche quando a darsi battaglia saranno Pedersen e Conci: è stato veloce a intuire le qualità di Carapaz, quanto a capire che a 42 anni è ora di smettere di correre siamo ancora indietro. Figlio di contadini, che ancora aiuta nel tempo libero, l’ecuadoriano viene ritenuto un privilegiato: non perché corra in bici, ma perché ad un’altitudine dove i cellulari faticano a ricevere lui ha sempre campo. Adesso che è arrivato tra i professionisti, ha già capito quanto bizzarra sia la vita: lui che è nato in campagna ha le qualità per essere un buon ciclista, mentre tanti ciclisti intorno a lui dovrebbero invece andare a zappare la terra.
V come Var. Nel senso di assistenza video. Attiva nel ciclismo da quest’anno, ha ricevuto al Giro il battesimo nelle grandi corse a tappe: serve per segnalare alla giuria ogni tipo di scorrettezza di corridori e ammiraglie, dalle scie prolungate alle gomitate in volata, dalle boccacce alle dita nel naso. E’ in mano a un giudice italiano, Gianluca Crocetti, che dentro un pullmino regìa segue su più monitor l’andamento della tappa: lavora da solo per evitare che l’esame delle immagini si trasformi nella classica discussione da Var sport. Ormai ne ha fatto la sua unica occupazione: nel giorno di riposo ha chiamato invano i colleghi della giuria per segnalare un paio di azioni fuori regolamento scovate durante un cartone animato. Non trascura il minimo dettaglio, esamina perfino i paesaggi che accompagnano la corsa, come ha fatto in occasione del lungo viaggio sulle coste di Calabria: tipico caso di Var Mediterraneo. E’ molto rispettato, anche perché il suo è un giudizio comunque autorevole: nel suo caso, da Var russo. Non ha limiti di tempo, va avanti fino a quando c’è lavoro da sbrigare: diciamo sul Var della sera. Ma la sua qualità migliore è non ascoltare ragioni, se qualcuno prova a fargli cambiare idea replica stizzito: un Var di palle.
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