ADRIANO, SIGNORE DELL'EMILIA

PROFESSIONISTI | 02/10/2017 | 09:26
«Ti ho mai raccontato di quando sono andato in Germania a studiare i motori della Sachs? E’ lì che ho imparato il tedesco e la disciplina rigida». Credevo che Adriano Amici non mi avrebbe sorpreso neanche se si fosse messo a camminare a testa in giù sulla linea del traguardo, e invece mi sbagliavo. Ci sono persone che hanno dentro mille vite, mille storie. Non soltanto mille corse. Ci siamo seduti su una panchina a parlare del futuro del suo GsEmilia - adesso che sono arrivati i complimenti ufficiali del nuovo presidente dell’Uci, il bretone Lappartient, non andare avanti sarebbe un peccato - e ci siamo persi in mille direzioni diverse, perché quando hai troppe cose da dire è difficile tenersi tutto dentro.

«Avevo tredici anni, mio padre vendeva anche i motori, non soltanto le biciclette, e vinse il premio della Sachs. Andai a Schweinfurt, poi a Francoforte, e anche a Norimberga». Suo padre era Aladino Amici, che correva con Bartali e non diventò professionista per via di una brutta caduta. «Quando tornai dalla Germania sfortunatamente vinsi undici corse da esordiente. Altrimenti il ciclismo non avrebbe mai sconfitto la mia inclinazione per le moto. Avevo un motorino tutto carenato che era una meraviglia».

Fu così invece che Adriano seguì la strada di Aladino. Diventò corridore, passò professionista grazie a quel signore che aveva conosciuto nella bottega di famiglia, quel signore che si chiamava Gino Bartali. E poi un giorno prese in mano il negozio di biciclette, «non sono mai stato un campione, ero un uomo di fondo, nel senso che stavo in fondo al gruppo». Di corse ne ha vinte poche, in compenso le ha immaginate tutte. Soltanto così puoi diventare il più grande dei piccoli organizzatori, «dal ‘90 a oggi sono già quasi quattrocento corse». E la notizia è che non si chiude, «la Granarolo mi ha appena confermato la sponsorizzazione». Beghelli ha fatto lo stesso, e così molti altri. Gli sponsor non lasciano mai Amici, la paura era che potesse dire basta lui, che da anni non vedeva altro traguardo oltre il Giro dell’Emilia numero cento.

«Avevo promesso a me stesso di arrivare a cento, anche per rispetto della memoria di chi lo aveva portato avanti per trent’anni, Ermanno Mioli, Dante Ronchi, Vittorio Piccioli. Alla mia età altre promesse non ne posso fare, ho settantaquattro anni e mezzo, ma se la salute me lo consentirà andrò avanti. L’ho deciso assieme al gruppo ristretto dei miei collaboratori, e la prima è la Manuela, fu lei a intuire che il traguardo a San Luca sarebbe stato un successo, e ai miei figli». Elisa, che in più ci mette il suo talento per la pittura e per la grafica, e Andrea, che è stato una delle speranze azzurre nello sprint, però senza bici, il suo sport era l’atletica.

Così, a forza di correre, le corse di Amici aumentano, invece di diminuire. «Tre giorni fa mi è stato dato l’incarico ufficiale per il Laigueglia, l’11 febbraio. Poi ho la data del 4 febbraio: per ora si chiama Gp GsEmilia, ma è il Costa degli Etruschi. A Larciano collaboraremo per la parte tecnica e la segreteria. Poi le nostre corse tradizionali, cioè la Coppi e Bartali e il gran finale: il 22 settembre il Memorial Pantani, il 23 il Matteotti con un percorso perfetto come ultimo test prima del Mondiale di Innsbruck, e poi Emilia e Beghelli, anche al femminile».

Il primo Giro dell’Emilia, «avevo quindici anni, allora si faceva l’Abetone, e io ci andavo con mio padre in bicicletta e poi tornavamo giù da Pavullo». Il primo da corridore, «era il ‘69, ma quello che non dimentico fu due anni dopo, quando ero in fuga e mi vennero a prendere a Monzuno, non sono mai stato un grande corridore però mi ricordo cosa vuol dire correre, ho imparato tante cose, so cosa vuol dire fare fatica». Quanto a tutti gli altri, quelli da patron, con la testa fuori dall’ammiraglia, «sono tutti belli, a parte quei tre anni in cui mi avevano cambiato la data e avevano messo l’Emilia dopo il Lombardia».

Cominciò tutto nel 1982. «Mi ero messo in testa di rifare il Criterium degli assi perché l’ultimo vincitore fra i dilettanti era stato mio padre, fra i professionisti invece aveva vinto Bartali». Sette anni più tardi, Adriano vende il negozio di bici e rimane soltanto organizzatore, «ci misi un giorno a decidere, e non ho mai avuto rimpianti, ho trasformato la mia passione in un lavoro». Per settant’anni il Giro dell’Emilia lo aveva portato avanti il VeloClub Stadio, «io credo di aver onorato questa eredità, e ci metto anche tre giri di Sardegna e cinque giri dell’Etna». Sabato pomeriggio, sotto il podio del Giro 100, scherzavamo con Visconti e Nibali, «ehi, sembra di essere al Giro dell’Etna». Adriano ride. «E’ una soddisfazione veder correre i miei nipoti, parlo di Nibali, di Ulissi, quelli sono i miei nipoti». Quelli che lo abbracciano appena tagliato il traguardo, e che gli dicono «grazie, ho appena vinto la corsa più bella del mondo». Se non ci credete, chiedetelo a Visconti cosa diceva sabato, senza smettere di piangere.

Alessandra Giardini
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