STORIA | 26/08/2017 | 07:53 C’era una Vuelta un bambino che chiamarono Antonio. Antonio Esteve Rodenas. Venne al mondo circondato di miseria sul finire del 1936 a Elda, la città delle scarpe, a dodici chilometri da Xorret de Catì, il traguardo di oggi. Quando nacque Antonio suo padre era lontano, a combattere contro i franchisti. La storia la sapete: non vinse il papà di Antonio e la vita a casa Esteve Rodenas diventò ancora più complicata.
Per campare dovettero trasferirsi a Madrid, e il piccolo Antonio non poté andare a scuola, cosa che gli dispiacque molto. A undici anni lavorava di notte nella tipografia di un giornale, e di giorno andava a vendere la frutta nei vicoli. In bicicletta. Fu così che gli venne un altro sogno: diventare un corridore. Però sapeva che i sogni non si avverano mai, così quando glielo chiedevano (non spesso, veramente) rispondeva che da grande voleva fare il pugile. Qualche volta diceva anche il torero, perché prima o dopo i bambini spagnoli un pensiero ce lo fanno.
Sua madre Aurelia però gli credeva, così lo portò in palestra a tirare di boxe per evitare che si fissasse con le corride. Il giorno che prese il primo pugno, Antonio tornò a casa e disse: meglio torero. Però pensava ancora che sarebbe diventato un corridore, e continuava a pedalare di nascosto, tutte le volte che poteva. Era bravo in bici, in salita andava su danzando. Torero no, pensava sua madre, e per fargli cambiare idea decise di mandarlo a una scuola di flamenco. Antonio non era andaluso e neanche gitano, ma quando Pilar Lopez Julvez, la sua insegnante, lo vide ballare lo prese subito da parte. «Può anche darsi che diventerai un grande torero, in fondo anche loro danzano davanti ai tori. Di una cosa però sono assolutamente sicura: se ti fai incornare, non ci sarà più né il torero né il ballerino. Ma se scegli di ballare diventerai il più grande dei ballerini». Le parole di Pilar si ripetevano nella testa di Antonio incessanti come un bolero. A un certo punto, di colpo, capì che quello che gli era piaciuto fino a quel momento nella vita - stare sul ring, affrontare il toro nell’arena, anche arrampicarsi in salita con la bicicletta - era tutto una specie di danza. E che forse era proprio la danza il suo destino. Così si arrese alle parole di Pilar. Lei gli spiegò come vestirsi con eleganza, gli insegnò ad amare la letteratura, le poesie di Garcia Lorca, gli mostrò la musica e lo fece attaccare al garbo del flamenco. La passione per la politica e per il comunismo invece no, quelle Antonio ce le aveva dentro, sangue del sangue di suo padre. Quelle che gli fecero dire che la cosa più grande che esiste al mondo è la libertà, e per la libertà bisogna lottare, perché non te la regala nessuno. Pilar, la sua maestra, fece un’ultima cosa per lui: gli trovò il nome d’arte, quello con cui diventò famoso nel mondo, quello con cui anche noi lo conosciamo, Antonio Gades.
Ottava tappa, Hellìn-Xorret de Catì, km 199,5. Se siete alla corsa, è il giorno di un grande classico: tortilla con patatas bravas (prima bollite, poi fritte, accompagnate da una salsa piccante).
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