INIZIATIVE | 02/05/2017 | 07:23 Come tutti gli appassionati di ciclismo ben ricordano, Marina Romoli ha vissuto sulla propria pelle il dramma di un incidente stradale che per poco non le è costato la vita. Il 1° giugno 2010, mentre si allenava sul lungo lago di Lecco insieme ai ciclisti Matteo Pelucchi, suo fidanzato e Samuele Conti, fu investita – proprio come è accaduto a Michele Scarponi – da un'auto che non rispettò la precedenza. Il tragico responso fu la perforazione di un polmone, 500 punti di sutura al viso e la frattura di alcune vertebre, con la conseguente perdita dell'uso delle gambe e la terribile sentenza di dover vivere sulla sedia a rotelle.
Nata a Recanati (“molto vicino all'Ermo Colle di Leopardi, quello dell'Infinito” ci tiene a precisare Marina) ma da anni residente con la famiglia a Potenza Picena (Macerata), Marina Romoli ha molti amici in Toscana e sabato scorso Saverio Carmagnini, il deus ex machina della challenge Giglio d'Oro, ha organizzato una cena benefica per raccogliere dei fondi a favore della Marina Romoli Onlus, l'associazione senza fini di lucro che si propone di cambiare il destino delle persone con lesione al midollo spinale, finanziando la ricerca e le cure che possano aiutarle a ritrovare l'uso delle gambe.
Una missione benemerita che conferisce ulteriore forza e determinazione a questa giovane, ammirevole donna di 29 anni, avviata ad una grande carriera ciclistica avendo vinto il campionato italiano su pista della corsa a punti Juniores nel 2006 e, sempre nello stesso anno, essendosi piazzata seconda assoluta ai campionati mondiali su strada. Attualmente Marina è iscritta alla Facoltà di Psicologia di Bologna presso la sede distaccata di Cesena.
Ospiti della cena organizzata presso il ristorante Carmagnini del '500 a Pontenuovo di Calenzano - alla vigilia della Gran Fondo intitolata ad Alfredo Martini con epicentro Calenzano e Sesto Fiorentino ed alla quale hanno aderito oltre 400 Cicloamatori - tanti campioni “benefici” come Francesco Moser, Roberto Poggiali, Davide Boifava e Renato Laghi. Questa è l'intervista che ci ha rilasciato la sfortunata ciclista marchigiana.
Si può affermare che a Calenzano, da Carmagnini, ti senti come a casa? «Sì, Saverio sostiene la nostra onlus da molti anni e qui torno sempre volentieri, a ritrovare lui e tanti altri amici».
Come hai vissuto la tragedia di Michele Scarponi? «Molto male, la sua morte mi ha distrutta. Conoscevo Michele fin da quando ero una bambina e lui è stato uno dei miei idoli ciclistici, un vero esempio. Quando ho iniziato a gareggiare spesso ci allenavamo insieme e anche dopo il mio incidente ha continuato a starmi vicino, partecipando quando poteva alle manifestazioni che organizzavamo con la nostra onlus. Vederlo perdere la vita in un incidente stupido, come quello che è capitato a me con un'auto che ti taglia la strada e con il guidatore che poi dice di non averti visto, è straziante. Non è giusto ma purtroppo è accaduto di nuovo».
Che ricordo avrai di Michele? «Una persona bellissima e speciale, quando parlavi con lui non sapevi mai se faceva sul serio oppure se scherzava. Era un “ambiguo buono” perché poi alla fine ti faceva sempre capire quale fosse la verità. Un uomo schietto, vero, sincero, che se non gli andavi a genio te lo diceva in faccia».
Come prosegue l'attività della Onlus a te intestata? «E' nata nel 2011 grazie ad alcuni amici e stiamo ottenendo buoni risultati e aiuti in tutta Italia. Oltre alla parte per così dire medica, che interessa le tantissime persone afflitte da una lesione spinale e di solidarietà, cerchiamo di affrontare anche temi di scottante attualità come la sicurezza stradale».
A tale proposito qualcosa sta cambiando nel codice della strada, come valuti queste nuove norme? «Le leggi servono per il dopo, ma è molto più importante il prima, cioé la prevenzione. Bisogna cambiare la mentalità e l'atteggiamento delle persone che guidano, addirittura iniziando dalla scuola guida. Serve far capire a tutti che chiunque potrebbe trovarsi in condizioni come la mia o perdere la vita come Scarponi e tanti altri. La strada è di tutti ed è necessario rispettare i più deboli, cioé i pedoni e i ciclisti. Per loro un attimo significa la vita, per chi è in macchina e magari sta parlando al telefonino, quell'attimo non vuol dire nulla. Ci vuole più raziocinio e bisogna pensare che davanti a te sulla strada potrebbe esserci un familiare o un amico».
Gli Smartphone possono essere un pericolo? «Sì se vengono usati mentre si guida, provocano delle disattenzioni spesso fatali e ognuno deve essere sempre consapevole di ciò che fa mentre conduce un'auto».
Ami tuttora il ciclismo? «Certo, nonostante alcuni momenti in cui guardo con rabbia al mio destino. Con l'incidente ho scoperto che il ciclismo è davvero una grande famiglia e tutti i ciclisti che conosco mi aiutano e mi stanno vicino costantemente. Una grande amica è Alessandra De Stefano, che si sta dando parecchio da fare per la nostra onlus (per informazioni www.marinaromolionlus.org)».
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