PROFESSIONISTI | 27/02/2017 | 07:06 Un uomo di grande esperienza tra tanti giovani. Francesco Gavazzi, che l’anno scorso ha saputo conquistare la tappa della Volta Portugal con arrivo a Fafe e il Memorial Marco Pantani, oltre a una lunga serie di podi, tra i quali spiccano in Italia il secondo posto nel Gran Premio degli Etruschi e al Giro dell’Appennino e il terzo posto nella Coppa Agostoni e alla Tre Valli Varesine, è il punto di riferimento della Androni Sidermec 2017. Il trentaduenne valtellinese secondo, nella classifica finale della Coppa Italia 2016 con i Savio boys, vuole rendere la stagione appena iniziata memorabile e degna di essere ricordata, al di là della delusione del mancato invito al Giro d’Italia numero 100.
Come è iniziato quest’anno? «Bene, l’inverno è trascorso tranquillo. Mi sono goduto la famiglia, vale a dire il mio bimbo Achille, che ha 5 anni, e la mia compagna Alessia. Al di là della bici e dell’Inter, di cui sono un accanito tifoso, non ho passioni particolari. Mi piacciono le cose semplici, stare a casa, in buona compagnia. Nonostante il freddo, la preparazione è stata rispettata, sono partito un po’ prima degli anni scorsi avendo finito la stagione agonistica il 1° ottobre con il Lombardia, ma per il resto non ho cambiato nulla alle mie abitudini. Dopo la palestra nella fase iniziale, sono passato ai lavori in bici».
Per ripartire poi con questa vita da “zingari”. Un peso o privilegio? «Negli ultimi anni, soprattutto da quando sono papà, sono meno felice di fare le valigie. Viaggiare è diventato più pesante, più che per le gare mi pesa stare lontano da casa per i ritiri, perché ti obbligano a sacrificare molto il tempo a disposizione dei tuoi cari. Prima di debuttare in Argentina, il mese scorso per esempio sono stato 10 giorni a Benidorm per allenarmi al caldo, e dopo un giorno e mezzo ero di nuovo in volo. Detto questo, continuo ad amare il mio lavoro e questo sport come quando papà Alberto mi ha fatto scoprire la bici. Giocava a calcio e subì un infortunio al ginocchio. Come spesso succede per quegli incidenti, fu necessaria la riabilitazione attraverso la bicicletta. Da lì, è diventato un assiduo cicloamatore partecipando a diverse granfondo. Io ho incominciato nel 1996, al primo anno tra gli esordienti, stuzzicato anche dai ricordi infantili delle imprese di Claudio Chiappucci. Ero presente anche nel 1991 all’arrivo del Giro d’Italia a Morbegno, quando vinse il compianto Franco Ballerini».
La Androni Sidermec è cambiata molto da un anno a questa parte. «A parte il sottoscritto, Marco Frapporti, Marco Benfatto, Luca Pacioni e due colombiani che sono stati confermati, c’è stato un cambio radicale, rivolto soprattutto alla valorizzazione dei giovani. Sono attorniato da neoprof del ’93 e ’94, inizio a sentirmi vecchio (sorride, ndr). Battute a parte, in squadra c’è grande entusiasmo, i giovani hanno voglia di fare e divertirsi affrontando sacrifici, ci hanno portato una bella aria di cambiamento. Tanti hanno un futuro davanti roseo, sta a loro sfruttare l’occasione e costruirsi una carriera. Il primo anno nella massima categoria è sempre un punto di domanda, c’è chi reagisce bene al passaggio e chi lo paga. Siamo un bel gruppo e penso di poter dare il mio contributo grazie alla mia esperienza. Ho corso in team importanti, ho preso parte praticamente a tutte le gare più prestigiose del calendario internazionale. Qualche dritta su come ci si comporta in corsa, su come allenarsi e gestirsi nella vita di tutti i giorni posso darla ai nostri sbarbatelli. Poi, ripeto, sta a loro dimostrare quanto valgono. La qualità fondamentale che devono avere è la voglia di far fatica e affrontare i sacrifici che sono alla base del nostro sport».
Per il secondo anno di fila non siete stati invitati al Giro d’Italia, te lo aspettavi? «Sinceramente no, dopo essere stati parcheggiati ai box nel 2016 pensavo quest’anno saremmo stati della partita. Dispiace molto, è sfumato un obiettivo o forse l’obiettivo della stagione. Per i giovani sarebbe stata un’esperienza importantissima, per noi più esperti un’occasione di ribalta unica. Non sono d’accordo con quanto dichiarato dal direttore del Giro Vegni, per una squadra italiana la corsa rosa è vitale. Ad ogni modo, riadatteremo la stagione. Dopo il Tour de San Juan, Donoratico e Laigueglia, io correrò in Francia tra Tour Cycliste du Haut Var, La Provence, Ardeche e da marzo le corse in Italia con GP Larciano, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo, appuntamenti importanti in cui faremo del nostro meglio per metterci in luce e conquistarci sul campo la wild card per la gara a tappe più importante del nostro paese. L’anno scorso siamo arrivati vicini a vincere la Coppa Italia, nel corso di questa stagione dobbiamo migliorarci ulteriormente».
A livello personale, cosa ti aspetti da questa stagione? «Di quanto raccolto l’anno scorso sono contento, la stagione 2016 è stata una delle migliori nella mia carriera, fossero arrivate un altro paio di vittorie nel finale di stagione sarebbe stata perfetta, ma sulla mia strada ho trovato un Sonny Colbrelli davvero in palla. Per quest’anno non mi sono posto degli obiettivi precisi, non ho messo il cerchiolino rosso su nessuna data del calendario, so che se tengo i ritmi e la condizione dell’anno scorso posso dare ancora di più alla squadra. Anche negli anni in cui non vincevo ed ero al servizio dei miei compagni, penso ad esempio alle stagioni con la Astana, ero contento del mio rendimento. Ovviamente mi piacerebbe vincere una corsa importante, come la Strade Bianche o la Milano-Sanremo, ma ora prima di tutto penso a rompere il ghiaccio il prima possibile e poi dovrò essere bravo man mano durante la stagione a darmi stimoli e ambizioni sempre maggiori».
E poi? Quale sarà il tuo futuro in questo ciclismo sempre più precario... «Bella domanda… Se già il futuro era incerto prima dell’annuncio degli inviti al Giro d’Italia, ora è ancora più incerto. Mario Androni ha dichiarato che lascerà il ciclismo e non possiamo dargli torto. Gli sponsor italiani vivono sulla corsa evento più importante dell’anno, se li tagli fuori li perdi. Non ci vuole un economista per capirlo. Al contrario, se un marchio importante avesse la garanzia della partecipazione alle corse più prestigiose entrerebbe più volentieri nel ciclismo. Ora come ora, gli industriali che vogliono investire nel nostro movimento non sanno come e in che modo farlo, la situazione già economicamente è difficile, se in più a quei pochi che credono in noi non assicuriamo un ritorno di visibilità, è la fine. Dal canto nostro, io e i miei compagni daremo il massimo per far appassionare altri sponsor a questo fantastico sport e far ricredere il nostro patron, consapevoli che è una missione molto difficile».
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