PASTO OLIMPICO. Epico Kostantinidis

STORIA | 02/08/2016 | 07:32
Il primo fu Aristìdis Konstantinìdis. Edizione numero 1 dei Giochi olimpici moderni, nel 1896, ad Atene, in Grecia. Aristìdis giocava in casa: era ateniese. E la sapeva lunga: non solo era corridore ciclista, ma anche meccanico ciclista. E sarà stato per la passione inesauribile, o per la moda ottocentesca, o per una deformazione professionale, che portava i baffi a manubrio.

Aristìdis Konstantinìdis partecipò a tre prove olimpiche di ciclismo: i diecimila metri su pista, i cento chilometri sempre su pista, e la gara su strada. Nei diecimila metri finì quinto e ultimo (ma secondo altre fonti pare che avesse abbandonato la competizione), dopo essersi scontrato al settimo chilometro con il compatriota Georgios Kolettis, professione contadino. Nei cento chilometri – nove partenti - fu uno dei sette costretti a ritirarsi (e invece Kolettis conquistò l’argento dietro il francese Léon Flameng, e la medaglia di bronzo non venne assegnata perché nessun altro concorrente giunse all’arrivo). Ma nella gara su strada Aristìdis si rifece, e alla grande.

Da Atene a Maratona – un percorso più classico di questo non si può nemmeno immaginare -, e ritorno. Totale: 87 chilometri. Neanche tanti, eppure si rivelarono quasi un’Odissea. Aristìdis Konstantinìdis cadde, e risalì, ricadde, e risorse, cadde una terza volta e spaccò la bici, se ne fece dare una da un accompagnatore e con quella tagliò per primo il traguardo dopo tre ore, 22 minuti e 31 secondi, alla media di 25,850 chilometri orari, con una ventina di minuti di vantaggio sul secondo, il tedesco (di Fulnek, oggi Repubblica Ceca) August von Goedrich. Terzo fu il britannico Edward Battel, che lavorava all’ambasciata britannica in Grecia e che per questo era stato accusato di professionismo. Nessun italiano al via.

Diciamoci la verità: Aristìdis Konstantinìdis aveva un bel nome e cognome, che non suonava rotondo ma ventoso e sibilante, composto da ben 23 lettere. Eppure perde nettamente il confronto con la sollevatrice di pesi tailandese Prapawadee Jaroenrattanatarakoon, primatista del nome e cognome più lunghi fra tutti gli olimpionici: 31 lettere. Un nome e cognome così lunghi che, ai Giochi di Pechino del 2008, siccome sullo schermo luminoso non si riuscivano a digitare neanche le 21 lettere del solo cognome, i giudici di gara decisero di indicarla semplicemente con “J.”.

Il bello è che Prapawadee Jaroenrattanatarakoon, alla nascita, si chiamava Junpim Kuntatean. E con quel nome e cognome aveva cominciato a gareggiare. Ma fallito il tentativo di essere selezionata nella Nazionale tailandese all’Olimpiade di Atene 2004, e arrivata seconda ai Mondiali del 2005 e ai Giochi Asiatici del 2006, la Kuntatean fu invitata da una chiromante a modificare le proprie generalità. Solo se avesse cambiato il nome, profetizzò la chiromante, la sollevatrice avrebbe vinto l’Olimpiade. Junpim obbedì, andò all’anagrafe e s’iscrisse come Prapawadee Jaroenrattanatarakoon. Che significa “ragazza buona e felice”. Appunto.

Marco Pastonesi
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