Italia: festa per Ballan, commozione per Bettini, poi Martini...

| 29/09/2008 | 11:33
È stata festa grande, ieri sera, all’Hotel le Robinie, dove l’Italia del ciclismo aveva installato il suo quartier generale. Festa grande per Ballan, per Bettini e per una nazionale davvero eccezionale: al fianco degli azzurri c’erano le mogli, tutto lo staff tecnico, i dirigenti, il presidente della Federazione Renato Di Rocco e il presidente del CCP Alcide Cerato, giornalisti e amici dei campioni. Cena, grande festa, brindisi con champagne e anche un po’ di commozione: oltre allo straordinario trionfo di Ballan, infatti, si è celebrato un grande campione come Paolo Bettini, che ha deciso di ritirarsi dall’attività agonistica. «Ho un appunto molto serio da muovere alla squadra - ha esordito il presidente federale Renato Di Rocco con tono di rimprovero - perché... non doveva lasciarsi sfuggire la medaglia di bronzo!». Da parte sua Alcide Cerato ha sottolineato come la nazionale italiana si sia mostrata ancora una volta la più competitiva e soprattutto quale grande dimostrazione di gioco di squadra abbia offerto sulle strade di Varese mondiale. Alla serata era presente anche Amedeo Colombo, presidente di Varese 2008, finalmente sereno dopo i grandi impegni, anche grazie al gol di Ronaldinho che ha dato la vittoria al suo Milan nel derby. I più scatenati? Manco a dirlo, Bruseghin, Tonti e Tosatto... Costretto ad un breve discorso, Ballan ha costruito un piccolo capolavoro: «Siamo stati fortissimi, abbiamo dimostrato di essere una squadra eccezionale guidata da un capitano eccezionale. Cunego e Rebellin avrebbero meritato la maglia iridata, PURTROPPO l’ho vinta io...». Paolo Bettini, davvero grande capitano, ha richiamato poi l’attenzione di tutti e - come aveva fatto a Salisburgo e Stoccarda - ha passato la parola ad Alfredo Martini. In un silenzio attento e trepidante, il decano del ciclismo italiano ha ringraziato la squadra e ha elogiato Ballerini e poi ha regalato una chicca favolosa alla squadra: ha recitato a memoria una poesia di Federico Garcia Lorca, La Sposa infedele. Semplicemente da applausi. La sposa infedele di Federico Garcia Lorca E io me la portai al fiume credendo che fosse ragazza, invece aveva marito. Fu la notte di San Giacomo e quasi per compromesso Si spensero i lampioni E si accesero i grilli. Dopo l’ultima curva toccai i suoi seni addormentati, e mi si aprirono subito come rami di giacinti. L’amido della sua sottana mi suonava nell’orecchio, come una pezza di seta lacerata da dieci coltelli. Senza luce d’argento sulle loro cime sono cresciuti gli alberi, e un orizzonte di cani latra molto lontano dal fiume. Passati i rovi, i giunchi e gli spini, sotto la chioma dei suoi capelli feci una buca nella sabbia. Io mi levai la cravatta. Lei si levò il vestito. Io il cinturone con la pistola. Lei i suoi quattro corpetti. Né tuberose né chiocciole hanno la pelle tanto sottile, né cristalli sotto la luna risplendono con questa luce. Le sue cosce mi sfuggivano come pesci sorpresi, metà piene di fuoco, metà piene di freddo. Quella notte percorsi il migliore dei cammini, sopra una puledra di madreperla senza briglie e senza staffe. Non voglio dire, da uomo, le cose che lei mi disse. La luce della ragione mi fa essere molto discreto. Sporca di baci e sabbia, io la portai via dal fiume. Con l'aria si battevano le spade dei gigli. Mi comportai da quello che sono. Come un gitano autentico. Le regalai un tavolino da lavoro grande di raso paglierino, e non volli innamorarmi perchè avendo marito mi disse che era ragazza quando la portavo al fiume.
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