Condanna Ferrari: le dichiarazioni di Simeoni sono attendibili

| 18/01/2005 | 00:00
84 pagine per spiegare i motivi per cui il dott.Michele Ferrari, uno dei medici sportivi piu' noti del mondo del ciclismo - negli ultimi anni ha seguito anche Lance Armstrong - e' stato condannato l'1 ottobre scorso a conclusione del processo per doping a un anno di reclusione e a 900 euro di multa per frode sportiva ed esercizio abusivo della professione di farmacista. Le ha depositate il giudice monocratico di Bologna Maurizio Passarini. Amaro il ragionamento del giudice quando spiega la determinazione della pena: ''quando a ricorrere al doping sono, come nel caso del dr.Ferrari, i migliori medici sportivi, quelli usciti dall'eccellenza di un centro di ricerca finanziato dallo stesso Coni, allora forse c'e' veramente da temere che l'imbroglio, il volgare imbroglio, per quanto farmacologicamente raffinato, continuera' ad avare la meglio sull'effettivo valore degli atleti. C'e' da temere che prevalga la cultura del 'cosi' fan tutti' e che, dietro le piu' o meno sincere affermazioni di principio, la convinzione, aberrante, resti quella che non sia possibile ottenere grandi risultati senza ausili farmacologici. E' per questo che il trattamento sanzionatorio nei confronti dell'imputato Ferrari non puo' essere mite''. Le dichiarazioni di Filippo Simeoni, ma non solo quelle. Dichiarazioni che ''trovano conforto e vengono avvalorate da una serie di altri elementi raccolti nel corso del processo''. Elementi raccolti ''non senza fatica, che' quello del doping e' argomento che l'ambiente dello sport professionistico non pare ancora in grado di affrontare con l'indispensabile coraggio e schiena dritta che una impietosa autocritica richiederebbero''. E' lungo l'elenco di ''prove, dirette e indiziarie'', che il giudice monocratico di Bologna Maurizio Passarini, ha elencato nelle 84 pagine. Alle dichiarazioni di Simeoni, seguito da Ferrari dal novembre '96 a fine stagione '97, e' dedicata una parte cospicua dei motivi. Il ciclista di Latina, che per le sue rivelazioni ha avuto molti problemi (all'ultimo Tour, ad esempio, Armstrong in persona si mosse per annullare l'azione di Simeoni in fuga con altri corridori: ''Se volete proseguire la fuga - disse agli altri lo statunitense - dovete mollare Simeoni''), ''senza esitazioni di sorta - ricorda Passarini - ha espressamente dichiarato o piu' volte ribadito che, su indicazioni e prescrizioni del Ferrari, assunse eritropoietina (epo) e Andriol (farmaco a base di testosterone, ad affetto anabolizzante). Ha precisato Simeoni che Ferrari non gli procuro' personalmente l'Epo e l'andriol (pur facendogli capire che, all'occorrenza, sarebbe stato in grado di farlo), ma si limito' a prescriverglieli, all'interno di programmi di allenamento che lo stesso Ferrari predisponeva''. Simeoni ha spiegato nel corso del processo che gli asterischi nelle tabelle di allenamento predisposte dal medico stavano ad indicare l'assunzione di andriol. ''Le dichiarazioni di Simeoni sono ben precise - osserva Passarini - Egli quando rivolge dette accuse e' perfettamente consapevole di quanto va dichiarando e del rilievo di dette dichiarazioni''. Il problema del processo e' stato stabilire se l'atleta e' credibile o meno, se sia ''il ciclista che coraggiosamente ha deciso di rompere con il passato, infrangendo i troppi silenzi e le omerta' che circondano il fenomeno, o se sia un calunniatore''. La conclusione del giudice e' per la prima ipotesi, anche se ''la difesa del Ferrari ha cercato in vari modi di minare la credibilita' del Simeoni''. ''Nessuno degli argomenti utilizzati dalla difesa e' tale da minare la credibilita' - spiega il giudice - le cui dichiarazioni trovano conforto e vengono avvalorate da una serie di elementi raccolti nel processo''. ''Simeoni, caso pressoche' unico in un ambiente (quello dei ciclisti e, piu' in generale, degli atleti professionisti) evidentemente ancora non pronto a voltare le spalle ad un imbarazzante passato, - ricorda Passarini - non soltanto ha ammesso un utilizzo di sostanze dopanti assai piu' massiccio e temporalmente piu' esteso di quanto l'evidenza dei fatti (l'essere stato trovato in possesso di farmaci a tal scopo destinati) di per se' dimostrasse, ma ha anche fatto i nomi dei 'cattivi maestri'; comportamenti, questi che non lo hanno reso popolare all'interno della comunita' sportiva di cui ha continuato a far parte''. Passarini sottolinea le ''perplessita'' suscitate dalle dichiarazioni di alcuni altri ciclisti sentiti come testi: ''in particolare Chiappucci e, maggiormente, Bortolami''. In particolare ''fondatissimi dubbi di mendacio caratterizzano le dichiarazioni del Bortolami''. La conclusione e' che ''nessuna significativa interna contraddizione inficia la credibilita' delle dichiarazioni di Simeoni, il quale anzi, per il contesto in cui ha maturato la decisione di riferire quanto a sua conoscenza, va ritenuto persona certamente attendibile''. Poi ci sono le altre prove: ad esempio le ''prescrizioni di Androsten (al pari dell'andriol, sostanza ad effetto anabolizzante a base di testosterone) presenti nelle tabelle di allenamento del ciclista tedesco Kappes, da collocarsi negli anni '97-'98''; ''le prescrizioni di Deha (anabolizante) presenti nelle tabelle di allenamento dello stesso Kappeas e del triatleta svizzero Bernhard Olivier''; ''l'ordinativo di 500 capsule di Deha, datato 13-3-'98, rinvenuto in casa del farmacista Guandalini, scritto dal Ferrari su foglio a lui intestato''; ''le prescrizioni di sinsurrene a Ivan Gotti e Giorgio Furlan''; le dichiarazioni di altri due ex ciclisti, Fabrizio Convalle e Carlo Cobalchini. ''Le prescrizioni di Epo e andriol al Simeoni - e' la sintesi del giudice - di androsten al Kappeas, di Dhea allo stesso Kappeas e all'Olivier, di sinsurrene al Gotti e al Furlan erano evidentemente finalizzate a migliorare artificiosamente e fraudolentemente, in violazioni dei divieti dei regolamenti antidoping, le prestazioni degli atleti, e potenzialmente ben in grado di alterare il leale e corretto svolgimento delle competizioni sportive cui partecipavano''. ''Storie di doping nello sport - conclude Passarini - si sono sempre avute e, realisticamente, esistera' forse sempre un gap tra lo sviluppo della ricerca, capace di rimpiazzare farmaci con altri sempre nuovi e piu' sofisticati, e la possibilita' di smascherarli attraverso i sistemi di controllo. L'obiettivo che ci si deve sforzare di raggiungere, e che e' alla portata di un mondo dello sport che decida veramente di combattere il fenomeno del doping, e' quello di ridurre al minimo quel divario, attraverso il ricorso a controlli (sempre piu' mirati, efficaci, a sorpresa, effettuati anche durante gli allenamenti e non solo in occasione delle gare) e, inevitabilmente, a sanzioni, anche severe, da applicarsi a chi viola le regole''.
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