Doping: Piepoli non è Riccò e nega tutto, ma...

| 01/08/2008 | 12:48
Il primo pentito della storia del ciclismo: su questo non ci sono dubbi. Il primo che si è preso la briga di riconoscere i propri errori e collaborare con la giustizia. Il primo che è andato oltre, e ha dato la propria disponibilità a spiegare e raccontare quello che succede in gruppo e anche lontano dalle corse. Probabilmente tutto sta nell’età: Riccò 24 anni, una possibile carriera ancora davanti a sè, Leonardo Piepoli 37 anni, una carriera tutta alle spalle. Il modenese ha deciso di parlare, di rompere il muro dell’omertà, il pugliese con residenza monegasca e casa in Spagna, ha invece negato tutto, come il buon manuale del perfetto corridore sospettato recita: negare sempre e comunque. Possibilmente anche l’evidenza. Riccò non sarà certamente un eroe, ha fatto i suoi calcoli, ha messo sulla bilancia tutto e si è deciso a parlare e a spiegare certi meccanismi, ma va anche detto che molti prima di lui si sono trovati nella stessa situazione e hanno scelto il silenzio. Diamogliene atto. Piepoli, il compagno fedele e indispensabile per molti anni e di molti corridori (da Simoni a Riccò, appunto), ha scelto di dire poco, quasi nulla. «Sono venuto qui solo come testimone - ha dichiarato il pugliese che si è presentato davanti al capo della Procura in tenuta da spiaggia con quasi due ore di ritardo per problemi di traffico ferroviario - ho detto quello che dovevo dire». E, prima di salire in macchina lasciando la zona dello stadio Olimpico, ha aggiunto: «I miei rapporti con Riccardo Riccò? Chiedetelo a lui». I rapporti, evidentemente, non devono essere più molto buoni. E dire che solo quindici giorni fa erano tutti pappa e ciccia. Inseparabili, dividevano anche la camera, le vittorie e molto probabilmente non solo quello. Riccò ha fatto diversi nomi e cognomi, ha parlato di medici e preparatori, massaggiatori e corridori. Diversi corridori. Ha spiegato anche alcune logiche della complessa e articolata macchina doping che anima e governa il gruppo. Insomma, ha fornito molte informazioni che torneranno utili agli inquirenti e soprattutto torneranno utili a lui, per vedersi alleggerire una posizione estremamente pesante, che lo vedeva sull’orlo della radiazione. Sulla testa del corridore modenese, che con il capo della Procura del Coni Torri si sarebbe visto anche lunedì scorso, due giorni prima dell’udienza ufficiale, pendeva non solo la doppia positività al Tour de France, ma anche il possesso di materiale medico (per flebo) e la frequentazione di un medico radiato per questioni di doping. Ieri intanto è arrivata la scontata sospensione, in via cautelare, del corridore modenese. A deciderla il Tribunale Nazionale Antidoping, che ha accolto la richiesta presentata contro l’ex ciclista della Saunier Duval, dalla Procura Antidoping del Coni, a cui l’altro ieri Riccò aveva confessato l'uso di Epo di terza generazione durante la Grande Boucle. Tornando a Piepoli, il pugliese, dribblando i giornalisti, è arrivato attorno alle 14.30 negli uffici della Procura Antidoping del Coni, dove ha reso conto davanti al Procuratore Ettore Torri delle indiscrezioni su una sua positività all'antidoping durante la Grande Boucle (mai confermata dall’Agenzia antidoping francese), e sulla sua presunta confessione («Ho fatto lo stesso di Riccardo») riportata dal quotidiano spagnolo «El Pais». Trentadue minuti di deposizione, senza la presenza dell’avvocato, che è restato fuori. Una «deposizione volontaria, nella quale ho respinto ogni addebito». Ha negato ogni cosa, anche quelle riportate de «El Pais». «Io non ho fatto niente che andasse contro i regolamenti». Si sarebbe difeso dicendo di essere stato licenziato per mancata vigilanza su Riccò. E ora chiederà i danni alla squadra. Se il pugliese è apparso lapidario, lo stesso è stato anche il capo della Procura Ettore Torri che ha detto: «Non ha detto nulla di importante relativamente all'istruttoria. Ha negato tutto». Ben diverso sarà, molto probabilmente, l’atteggiamento che dovrà tenere Piepoli quando sarà chiamato a presentarsi davanti alla Procura di Roma: un conto è la giustizia sportiva, un altro quella penale. da Il Giornale del 1 agosto 2008
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